L’Agenzia dimostra ancora una volta un approccio culturale ostile all’innovazione e termina il confronto rimanendo ferma in una posizione che ricalca la situazione attuale, anche se si superano alcune assurde criticità procedurali con cui abbiamo dovuto fare i conti in questi anni di lavoro a distanza “emergenziale”. Nessuna deroga al principio brunettiano della prevalenza del lavoro in presenza viene prevista, 6 giorni di lavoro agile rimangono la regola generale, 2 gg in più per alcune categorie, 2 gg in meno per chi svolge una delle tante attività che prevedono obbligatoriamente la presenza (troppe, sostanzialmente rimangono quelle della Liua di agosto 2020) per i quali dovranno essere previsti cambi di mansione e opportune rotazioni.
Rispetto a come il lavoro agile era disciplinato fino ad oggi, fra le categorie che potranno avere due giorni in più, fino a 8, qualcuno ci guadagnerà altri ci perderanno senza una logica ben precisa. Con una sorta di compensazione se si estende a qualcuno, si deve togliere a qualcun altro: così viene aggiunta la genitorialità under 12 ma viene tolta la monogenitorialità under 14; rimangono i beneficiari di L. 104 (art. 3, comma 3) e i caregiver, ma solo se residenti con gli assistiti, e viene tolta la distanza tra la residenza e la sede di servizio.
Nonostante un’accurata ricerca dei termini da usare per camuffare le criticità, i giorni in realtà non saranno “garantiti” ma condizionati alle esigenze di servizio. Infine sono state previste solo 200 posizioni di telelavoro domiciliare (meno del 2% dell’organico) che saranno le uniche a poter svolgere il lavoro a distanza in via prevalente.
Per dare una corretta applicazione a quanto previsto dal contratto ovvero “… di facilitare l’accesso al lavoro agile ai lavoratori che si trovino in condizioni di particolare necessità”, anche per il lavoro agile, andava superata la barriera “culturale” della prevalenza del lavoro in presenza.
Il 30 giugno 2023 scade la proroga che permette ai lavoratori e alle lavoratrici fragili di beneficiare del lavoro agile. Seppur la norma è nata per prevenire l’elevato rischio di contagio nei luoghi di lavoro per questa tipologia di dipendenti e nonostante la cessazione dell’emergenza pandemica, non viene meno la necessità di tutelare la condizione soggettiva di migliaia di lavoratori e lavoratrici, la cui condizione di fragilità non scade il 30 giugno e non è esclusivamente legata alla maggiore possibilità di contagio da malattie infettive. Questo significava per noi fare tesoro dell’esperienza vissuta in questi anni.
Anche sulla condizione economica, in un contesto inflazionistico che erode la capacità di spesa dei lavoratori dipendenti, c’era bisogno di fare una riflessione e di trovare correttivi se si voleva dare effettività al principio che il lavoro agile ha lo stesso trattamento economico e normativo di quello in presenza.
Per alcuni mesi in ADM è stato riconosciuto il buono pasto, non ci sembra che su questo punto ci siano stati rilievi da parte degli organi di controllo, mentre ben altre sono state le spese contestate alla dirigenza dell’epoca.
Ma su questo non solo non si è riusciti a trovare soluzioni, non si è nemmeno riusciti a discutere in maniera adeguata, con un confronto influenzato dallo stillicidio di proroghe mensili, con cui il capo del personale ha pensato di mettere pressione alle OO.SS., e alla compiacenza di Cgil, Cisl e Uil, che sono sembrate preoccupate solo per Poer, PO, IdR, ma nessun accenno da parte loro alle fragilità, alla prevalenza, alle condizioni economiche.