Dallo studio dell'ISTAT pubblicato in questi giorni che fotografa e analizza la povertà in Italia nel 2011, emerge un Paese che sta rapidamente perdendo colpi in termini assoluti e allo stesso tempo sottolinea con altrettanta chiarezza le differenze tra nord, centro, sud e, soprattutto, tra le classi sociali.
Nel 2011 8.173.000 persone, pari all’11,1% delle famiglie, sono relativamente povere e 3.415.000, pari al 5,2%, sono povere in termini assoluti.
Per povertà relativa si prende come parametro di riferimento una famiglia di 2 persone che ha un reddito pari a 1.011,03 euro.
Si considera invece povertà assoluta la condizione per la quale la famiglia ha un reddito che si pone sotto una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerato essenziale per un livello di vita minimamente accettabile.
Dati sconvolgenti che già scontavano un forte aumento dell'indice di povertà nei due anni precedenti a causa della crisi.
La contraddizione raggiunge il suo culmine quando ci si accorge che nel 2011 la sostanziale stabilità della povertà relativa rispetto al 2010 deriva dalla media tra il peggioramento per le famiglie operaie e che vivono da redditi da lavoro e quelle nelle quali ci sono dirigenti.
Questi dati sono poi articolati per regioni e qui ci si rende conto che il mezzogiorno d'Italia sconta ritardi ormai decennali con percentuali di povertà doppie rispetto ai dati nazionali.
Lasciamo alla lettura del documento ISTAT, che riportiamo allegato, una più attenta analisi per comprendere quale sia la reale situazione economica di una parte così consistente della popolazione italiana.
Sicuramente però il dato politico più importante è che a fronte di una crisi che sta sconvolgendo l'intera Europa e che vede alcuni paesi, compresa l'Italia, tra i più colpiti, le misure che si stanno succedendo di mese in mese con il governo Monti, sono tutte indirizzate verso la riduzione dello stato sociale, verso una privatizzazione spinta dei servizi, verso l'aumento delle tasse.
Se a questo aggiungiamo che una massa sempre più imponente di lavoratrici e lavoratori stanno perdendo il lavoro e nei prossimi anni potranno usufruire di periodi molto più brevi di ammortizzatori sociali, che le aziende e gli uffici pubblici chiudono e aumenta la disoccupazione, con punte del 40% tra i giovani che pesano sempre di più sulle famiglie, a loro volta impoverite, e che gli anziani potranno progressivamente contare su pensioni sempre più esigue, allora il quadro non può che disegnare una situazione di disagio crescente e di incremento incessante dei livelli di povertà, sia relativa, sia assoluta.
A fronte di ciò è scontato che aumenti anche il conflitto sociale che nei prossimi mesi non potrà certo essere annullato o compresso dalle chiacchiere di Monti e della Fornero e dagli inutili mugugni della Camusso.
Ora tocca a chi ritiene sia necessario un sindacato conflittuale ed indipendente scegliere da che parte stare.