Il sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’on. Durigon della Lega, ha proposto il trasferimento in forma obbligatoria del 25% del TFR ai Fondi Pensione. L’obiettivo è quello ricorrente di intervenire sulle pensioni per fare cassa.
Insieme con il passaggio al calcolo contributivo delle pensioni, causa della drastica riduzione degli importi pensionistici attuali e futuri, il trasferimento del TFR - Trattamento di Fine Rapporto - ai Fondi Pensione è da sempre la pietra angolare di questa strategia. In questo modo si garantirebbe, secondo Durigon e tutti quelli che nel tempo hanno riproposto la stessa ricetta, una quota integrativa tale da consentire il riequilibrio dei trattamenti pensionistici ridotti dal calcolo contributivo.
In realtà, le nuove generazioni, oltre alla precarietà e discontinuità dei rapporti di lavoro, sono costrette a subire il ricatto di basse retribuzioni, quando non assolutamente povere, che comportano una bassa capacità contributiva che riduce gli importi delle future pensioni ed anche una riduzione del valore del TFR che è determinato sulla base di quelle stesse basse e discontinue retribuzioni conseguite durante tutta l’attività lavorativa. Le due povertà si sommano e vanno ad incidere sulla povertà delle pensioni future.
In sintesi, si riducono le retribuzioni e la contribuzione ai fini pensionistici, come ammette lo stesso Durigon parlando di pensioni fragili o povere, ma si riduce anche la quota di TFR maturato da poter versare eventualmente nei Fondi Pensione. Fondi che per altro non possono garantire livelli adeguati e costanti di integrazione delle pensioni, se non investendo il capitale raccolto in impieghi a rischio elevato in un mercato globalizzato, sempre più soggetto a concorrenza, volatilità, fallimenti e crolli repentini come quello del 2008 o quello conseguente alla pandemia.
Inoltre, da un punto di vista costituzionale, il conferimento obbligatorio del TFR ai Fondi Pensione rappresenta una distorsione dell’art.38 imponendo, oltre a quella obbligatoria versata nel sistema pubblico, un’ulteriore contribuzione obbligatoria ai fini pensionistici, verso un sistema privato di natura individuale che cancella la solidarietà sociale ed opera secondo la logica “ognun per sé e Dio per tutti”. Lo Stato, in questo modo, procede a traslare la responsabilità di un futuro rischio di povertà in capo al singolo cittadino e alla sua capacità di versamento dell’ulteriore quota di contribuzione, spingendo verso la privatizzazione del sistema previdenziale, come sta accadendo per la sanità.
Il trasferimento del TFR ai Fondi Pensione pone inoltre una questione di genere. Le donne, a parità di importo versato con quello degli uomini, ottengono dai Fondi una pensione integrativa più bassa a causa della maggiore aspettativa di vita ed un più lungo tempo di godimento della prestazione, che deve essere scontato per i modelli di rendimento.
Infine, parlando di TFR il sottosegretario sembra dimenticare che la Corte costituzionale ha sanzionato con sentenza n. 130/2023, il differimento di 2 anni per il riconoscimento degli importi TFS/TFR dei dipendenti pubblici, a cui si aggiungono altri 5 anni per chi esce con le varie quote 100-102-103.
Quindi, prima di suggerire qualsiasi ulteriore intervento sul TFR il sottosegretario, ed il Governo di cui fa parte, dovrebbe proporre l’abrogazione di tali norme, restituendo quanto scippato dai provvedimenti del ministro Fornero.
Il TFR deve restare nella piena disponibilità dei lavoratori recuperando la sua funzione di retribuzione differita, aumentandone il valore attraverso l’aumento reale delle retribuzioni.
Allo stesso tempo, il sistema pensionistico va radicalmente riformato abbandonando in primo luogo il sistema contributivo di stampo attuariale a capitalizzazione.
Un modello fondato sulla progressiva riduzione dei coefficienti di rendimento degli importi versati e quindi delle pensioni, e sulle tavole di mortalità, leggi aspettativa di vita, che rende inutile anche la discussione sull’età pensionabile destinata ad aumentare progressivamente fino ai 70 anni, già oggi previsti.
Una prospettiva, non certo remota per le nuove generazioni, di pensioni fragili o addirittura povere e lontane nel tempo, come dice Durigon.
Va inoltre superato il ricorso ai Fondi Pensione che, piuttosto che fare l’interesse dei lavoratori, tendono a garantire investitori ed azionisti. Il TFR, inteso come risparmio di natura pensionistica destinato ai Fondi Pensione, come hanno da sempre sostenuto i riformatori del sistema, è infatti un’accumulazione finanziaria con caratteristiche di lungo periodo, che indubbiamente rafforza la stabilità dei mercati finanziari, che rende possibile il finanziamento di investimenti a lungo termine e quindi l’offerta di rilevanti benefici agli azionisti. Non certo a quelli delle future generazioni.
Se proprio si vuole pensare ad un utilizzo del TFR lo si deve subordinare ad una funzione sociale attraverso il suo conferimento, sotto forma di prestito, ad un Fondo gestito dall’INPS, o comunque da un soggetto pubblico, che possa utilizzare il capitale raccolto ed i suoi interessi per interventi sullo stato sociale.
In sintesi, Il TFR deve tornare alla sua funzione di salario differito, insieme con la crescita delle retribuzioni. Vanno equiparate le norme relative al riconoscimento del TFR tra dipendenti pubblici e privati a partire dai tempi di erogazione non superiore ai tre mesi e alla possibilità di anticipazioni in costanza di lavoro.
Non è accettabile, inoltre, nessuna obbligatorietà né il ricorso al silenzio assenso per l’eventuale trasferimento ai Fondi Pensione, perché va scongiurato un ulteriore smantellamento del sistema previdenziale pubblico e la privatizzazione dei diritti costituzionali: il salario differito dei lavoratori non può essere utilizzato come strumento di finanziamento del mercato dei capitali.
USB Pensionati