Il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti contiene misure che preparano la liquidazione di molti degli attuali servizi pubblici, compresa la privatizzazione del trasporto locale, degli altri servizi locali e dell'acqua, infischiandosene del voto di 27 milioni di italiani che si era espresso per il mantenimento dell'acqua pubblica.
Ma c'è anche la soppressione dell'obbligo dell'applicazione del contratto nazionale di settore nelle ferrovie, preludio questo ad un attacco più chirurgico rispetto all'intero impianto della contrattazione e soprattutto ai contratti nazionali.
E si parla anche di articolo 18 e quindi di libertà di licenziamento. In effetti qui l'attacco passa attraverso un sotterfugio: si introduce una frase, alla fine del 1° comma dello stesso art. 18, che allarga la platea di lavoratori ai quali non si applicheranno le tutele relative a quest'articolo dello Statuto dei Lavoratori; tutte quelle aziende cioè che procederanno a incorporazioni o che si fonderanno tra di loro potranno licenziare senza che sia prevista la tutela dell'art.18, se il numero dei lavoratori totale e derivante da tali unione non sarà superiore a 50.
Un provvedimento che rappresenta un grimaldello per poi attaccare le condizioni di lavoro e lo stesso articolo 18 nell'ambito dei più ampi provvedimenti sul lavoro che sono in preparazione.
A fronte di ciò Cgil, Cisl e Uil balbettano, si ricompattano al ribasso e chiedono un improponibile "patto sociale" che li riconosca attori di una nuova ed improbabile concertazione, invece di attaccare pesantemente il governo Monti.
Tutto ciò avviene proprio mentre i sondaggi ci dicono che la fiducia in Monti, da un livello quasi plebiscitario è in discesa ed è ora a circa il 50%; che l'84% degli italiani non condivide la necessità di ridurre il peso dello stato nei servizi socio-sanitari, il 90% per quel che riguarda l'istruzione e in generale il 79% (nel 2001 era il 69%) non esprime propensione verso il privato. Lo stesso sondaggio ci dice che soltanto il 36,6% degli italiani si fida dell'Unione Europea, il 22,7% della Banca Centrale Europea e solo il 15,4% delle banche italiane.
Insomma, sembra proprio che gli italiani non si fidino delle privatizzazioni, dell'Unione Europea, delle banche italiane e della BCE: tutto il contrario di ciò che il Presidente Napolitano, Monti e le forze politiche, sociali ed imprenditoriali che lo sostengono stanno cercando di far passare con provvedimenti urgenti finalizzati esclusivamente a preservare gli interessi delle imprese, delle banche italiane e straniere e della finanza internazionale.
Con le privatizzazioni e le liberalizzazioni, con gli attacchi ai diritti e alle condizioni dei lavoratori, con i “patti sociali” finalizzati alla commistione tra gli interessi delle aziende e delle centrali sindacali non si esce dalla crisi, anzi si peggiora e si scava un fossato sempre più profondo tra chi governa e il popolo.
USB e il sindacalismo di base invece hanno indetto lo SCIOPERO GENERALE per il 27 gennaio ed una grande manifestazione nazionale a Roma per la stessa giornata. Una scadenza che, ne siamo convinti, dimostrerà il forte dissenso che si sta aggregando contro Monti e non soltanto contro le singole misure del suo governo. Un'azione di lotta che si pone in contrasto anche con chi, a livello politico e sindacale, non si sta opponendo al massacro sociale che peserà essenzialmente sui lavoratori e sulle fasce di popolazione che già vivono una situazione di forte disagio. Uno sciopero non soltanto utile a dimostrare dissenso, ma indispensabile per iniziare a bloccare un processo che, se non ostacolato, ridurrà milioni di italiani in condizioni di vera e propria povertà.