Intervento di RDB penitenziari al Convegno di Antigone “Il protagonismo degli operatori : come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani “
In premessa voglio ringraziare la mia organizzazione sindacale, RDB, non tanto e non solo per lo spazio di espressione e di parole concessami oggi ma per la quotidiana, incessante azione di tutela della dignità dei lavoratori del comparto Ministeri, sempre più dimenticato e misconosciuto dall’Amministrazione Penitenziaria .
I contenuti del mio intervento risuoneranno , per gli addetti al settore, come un “già sentito”. Ed è questo il dato più negativo. La situazione degli UEPE, negli ultimi anni , è notevolmente peggiorata. Il mondo dell’Esecuzione Penale Esterna è rimasto inascoltato malgrado le ormai innumerevoli segnalazioni pacate, civili, costruttive, sensate. Nulla si è mosso e questo piano carceri tanto demagogicamente sbandierato è la riprova della nostra invisibilità simbolica e fattuale , figli/e di un dio minore, di un pensiero e di valori deboli rispetto alle muscolose certezze del maschio carcere.
Stato di disagio degli UEPE
Mai come negli ultimi mesi Rdb e le altre sigle sindacali sono state letteralmente tempestate da numerosissimi documenti attestanti lo stato di disagio di profondo malessere degli UEPE.
Il primo dato che balza all’occhio è la gravissima carenza di organico che investe i nostri servizi : a
Cosenza 5 operatori su 22 previsti in pianta organica, Udine 9 su 22, Foggia 10 su 23 ,Roma 39 su 84 ma anche Alessandria, Trento, Napoli situazioni nelle quali i lavoratori hanno , anche, in alcuni casi, indetto lo stato di agitazione del personale.
Entro un quinquennio andranno in pensione qualcosa come 2/300 operatori, l’ultimo concorso risale al 2000 e non sono previste procedure di mobilità in entrata del personale. Le sedi distaccate di servizio, su cui l’Amministrazione ha precedentemente investito per la ristrutturazione dei locali , languono anch’esse per mancanza di personale di servizio sociale e amministrativo .
Per non parlare dei i tagli alle risorse essenziali (telefono, fotocopie) ,l’insufficienza delle macchine di servizio, la stessa benzina: A tale proposito lì dove si sopperisce a questa mancanze di risorse con gli spostamenti degli operatori sul territorio attraverso i mezzi pubblici questi anticipano spese che si vedranno rimborsate , forse a distanza di sei mesi. Oltretutto ricordiamo che gli assistenti sociali non usufruiscono dell’indennità di trasferta, toltaci nel 2005.
In un’ottica globale comprendiamo il tramonto del Welfare, la necessità di razionalizzare la spesa, l’impopolarità di investire sul recupero e non sulla mera punizione del condannato , ma non si può andare avanti così.
Contraddizioni
Da anni nel settore un dato balza agli occhi in tutta la sua paradossale evidenza; la netta contraddizione tra le strategie di indirizzo di politica gestionale che hanno contraddistinto in questi ultimi anni la Direzione Generale dell’Esecuzione Penale esterna e lo stato di abbandono in cui versano gli uffici chiamati poi a incarnare l’operatività indicata, gli UEPE.
Nel convegno di Pescara organizzato dal Casg nel 2007 l’allora Direttore DGEPE Turrini Vita, che abbiamo salutato senza alcun rimpianto, affermava come “fosse imprescindibile che i nostri uffici garantiscano standard qualitativi, sia nella fase dell’osservazione che dello svolgimento delle misure alternative”. In quella prospettiva vanno lette le circolari che, dal 2003 , ci hanno visto destinatari della definizione/organizzazione di standard quantitativi che potessero da un lato fornire alla magistratura in fase di osservazione un prodotto più approfondito e completo ( vedi Pea) dall’altro assicurare nel corso della espiazione penale una gestione definita più attenta e de efficace ( vedi circolare sul controllo degli affidati) fino all’ultima a firma del presidente Ionta dove veniamo invitati a intensificare le visite domiciliari e a comunicarne la quantità.
Ma la qualità non si costruisce anche con le risorse? Di creatività il lavoro sociale ne richiede molta ma ciò non significa creare dal nulla!
Non è questa la sede, per ragioni di spazio e di tempo, per soffermarci sui singoli provvedimenti e sulla loro incongruenza con una quotidianità del lavoro sociale dove la complessità, e la necessità di un approccio multifattoriale non possono essere appiattiti in una logica quantitativa e deterministica. Ciò non significa sottrarsi alla possibilità di migliorare e approntare buone prassi generalizzandole sul territorio ma compartecipare, condividere la costruzione di metodologie dal basso. Un’organizzazione già farraginosamente verticistica, se non fa lo sforzo di fissare i propri obiettivi condividendoli e co-costrunedoli nel locale, sul territorio, diventa un’organizzazione lontana distante, non in grado di leggere e aiutare l’operatività concreta.
L’”alternatività”dell’ Esecuzione Penale Esterna
Noi operatori appena abbiamo la possibilità di riflettere sul mandato che ci è stato assegnato dall’ordinamento penitenziario, sul patrimonio preziosissimo di esperienze di vita, di storie di recupero sociale, di successi sotto il profilo dell’integrazione ci chiediamo con sgomento :
perché la politica è così disattenta a questo settore? Dove si è inceppato il meccanismo, dove non si è riusciti a dare una rappresentazione della realtà delle misure alternative che sono semplicemente più efficaci, più economiche, più civili del carcere?
La Costituzione, l’ordinamento penitenziario e le successive modiche, ma anche i criteri di economicità e , permettemi,il buon senso sono con noi… eppure la politica è attanagliata dentro a questa logica securitaria, repressiva dove il carcere, riconosciuto dagli studi di settore come “criminogeno” trionfa in tutta la sua sinistra e drammatica pericolosità.
Si perchè se guardiamo alla realtà dei fatti il carcere estranea, de-contestualizza, rende passivi nella migliore delle ipotesi, non ha neanche più quella funzione di deterrenza che poteva rivestire un tempo…in una provocazione un po’ forte direi che è socialmente pericoloso.
C’è da rabbrividire al pensiero che un paese che ha una tradizione democratica e civile come la nostra pensi di affidare al carcere al risoluzione di problematiche sociali come l’ondata migratoria, il consumo di sostanze stupefacenti, il disagio psichico. Certo la popolazione detenuta non è composta solo da queste componenti ma ne sono sicuramente la maggioranza.
Proviamo a ragionare con i numeri e con la brutalità del contenimento della spesa pubblica e ne usciamo vincenti: i costi di un affidato o di un detenuto domiciliare sono infinitamente minori a quelli di un detenuto. Abbiamo anche provato a calcolarlo e a raffrontare il dato.( vedi calcolo)
Le strutture Uepe incidono sul bilancio dell’Amministrazione penitenziaria in percentuali residuali rispetto agli istituti penitenziari .
Il personale del comparto ministeri dal punto di vista contrattuale non gode sicuramente di un trattamento economico , pensionistico e accessorio di cui è benificiario il corpo della polizia penitenziaria.
Un migliaio o poco più di assistenti sociali hanno gestito sul territorio nazionale qualcosa come 45.ooo misure alternativa poco prima dell’indulto. Contemporaneamente a fronte di una popolazione carceraria di 60.000 persone vi erano molte migliaia in più di poliziotti penitenziari. Sappiamo che non sono due rapporti strettamente raffrontabili, ma il dato resta.
E quindi il terreno dei costi è assolutamente a nostro favore.
Sull’efficacia in termini di prevenzione della recidiva,inutile ripetere il dato ovvio e risaputo dell’enorme divario tra la percentuale di recidivi provenienti dagli istituti e la quota minima riguardante le misure alternativa.
E come il PIL non è l’unico indicatore di benessere di un paese ,ma esistono molte altri indici che fotografano ulteriori aspetti, così dobbiamo ricordare che, oltre a costare meno sul piano economico la misura alternativa è complessivamente più vantaggiosa .
Un affidato in prova al servizio sociale si confronta con la costruzione-ricostruzione di un patto sociale violato dalla commissione di un reato: qui il lavoro, gli affetti, l’impatto con la società, la riparazione del danno non sono aspirazioni impraticabili, sogni impossibili da recluso dietro alle sbarre, inabilitato nelle sue dimensioni di attore sociale, ma aspetti su cui costruire e scontrarsi una pratica quotidiana.
Il carcere, lo sappiamo bene noi operatori, falsa la prospettiva e ic omportamenti: quante volte parliamo di manipolazione di strumentalizzazione da parte dei detenuti, di rapporto profondamente condizionato dal bisogno impellente di uscire e di essere liberi. Naturalmente neanche in area penale esterna non vi è un accesso volontario da parte dell’utenza ed esiste un rapporto forzato, ma il contesto è completamente diverso!
Per noi non esiste il “quando sarò fuori” ma il film è in presa diretta …con tutte le sue scommesse, i suoi rischi ma anche le enormi possibilità di progettazione e di movimento. Il cambiamento può essere solo dinamico e non maturare nella cristallizzazione vuota dei giorni!
Per quanti dei nostri utenti la misura alternativa è occasione per confrontarsi, anche con disagio e fatica,con le proprie famiglie, con la comunità terapeutica di cui si è ospiti, con i propri datori e compagni di lavoro, dimostrando impegno, affidabilità, tenuta , competenza?
Il lavoro e l’educazione al lavoro costituiscono occasioni decisive di empowerment. Quando si riesce è a partire da questa prima dimensione che spesso si riavvia un nuovo corso, ci si ricommette sul piano della fatica, della pagnotta.
Il “ fare” è il primo tassello di ricomposizione di una identità, il blocco di partenza da cui tentare di fare uno scatto.
Un altro aspetto decisivo è quello dei rapporti famigliari. Per molti dei nostri utenti i rapporti con i genitori, con la moglie o la compagna , con i propri figli non è fatta di pure velleità paterne , o di idealizzazioni , ma di una quotidianità anche sofferta ,di gesti, di responsabilità assunte . L’utente-bersaglio, il focus molto spesso è sull’insieme del nucleo famigliare, che sì supporta, sostiene, ma spesso anche interroga sulla coerenza, valuta l’onestà del famgliare, la soppesa , la giudica.
Per quanti dei nostri utenti l’espiazione penale esterna è occasione di responsabilizzazione in ordine a quanto commesso, attraverso un percorso costante e continuo di rivisitazione del proprio agito? E’ più utile ma anche più scorticante stare in cella 20 ore , con tanti altri reclusi, solo a macerarsi o rientrare nell’arena sociale con la consapevolezza di dover recuperare un’immagine di sé al mondo?
Per quanti e mi riferisco alle realtà numerose ormai dove sono in atto percorsi di giustizia ripartiva significa scommettersi nel mondo associazionistico prestando un lavoro socialmente utile?
Per molti significa venire a contatto con una logica della pena non tanto e non solo retributiva ma educativa, promozionale in una logica di educazione alla legalità, di sperimentare con il sevizio quel famoso rapporto fiduciario di cui ci parla nel regolamento d’attuazione. Se c’è il rapporto fiduciario, la misura funziona, se non c’è, non vi sono mistificazioni che tengano. Fuori, all’aria aperta, ci pensa la vita a non farti bluffare.
Per alcuni, e mi riferisco soprattutto ad alcuni percorsi di inclusione di stranieri, difficili, pieni di intoppi e difficoltà può anche significare occasione di scoperta o appropriazione di un territorio , inclusione, prima mai avvenuta.
L’altro giorno parlavo con una collega di comune con cui si è costruito tutto un programma di assistenza domiciliare che dura ormai da un anno per un egastolano ammesso alla detenzione domiciliare provvisoria,una persona che si è macchiata di delitti efferatissimi. Ecco credo che in queste operazioni il primo risultato che il Ministero della Giustizia nella sua amministrazione della pena ottiene sia proprio quello di non cedere a gogne forcaiole e ma di rappresentare uno Stato democraticamente e civilmente “forte” nel dare risposte e servizi rispettosi della dignità umana. Anche a chi di rispetto per la dignità altrui non ne ha avuta affatto. Questo è il compito di istituzioni consapevoli del proprio ruolo, non quello di imprigionare e buttare via la chiave!
Quella che fanno gli Uepe è poi promozione di una politica penale locale basata sulla costruzione di progetti condivisi con i servizi socio-sanitari, con gli enti locali dei Comuni, con le associazioni , ma anche con le realtà del lavoro dai singoli privati datori di lavoro alle cooperative sociali. Ricordiamoci che la devianza viene prodotto e ritorna al territorio ed è lì che bisogna costruire prevenzione.
Non vorrei dare una visione eccessivamente romantica delle misure alternative, esistono le difficoltà, i fallimenti, i margini di miglioramento nella presa in carico e nelle varie attività.
Sicuramente all’interno del nostro paese vi sono poi realtà operative molto diverse : il lavoro che ormai con difficoltà si trova ancora al nord è assolutamente carente al sud, la presenza dei fenomeni criminali presenta connotazioni quantitative e qualitative profondamente diverse ma, in Piemonte come in Sicilia, la richiesta degli UEPE e di poter disporre di “risorse proprie” per poter attivare percorsi di reinserimento sociale con un ruolo da protagonisti e non da elemosinieri.
Quante volte di fronte alla nostra richiesta di “investimento” sui nostri utenti , da parte dei Servizi Sociali dei Comuni, mi sento dalle colleghe rivolgere la fatidica domanda : ma il vostro Ministero non mette nulla? Come ricoprire come servizi un ruolo da protagonisti attivi con l’attribuzione di risorse quali borse-lavoro, il finanziamento di progetti di reinserimento e accompagnamento in ambito lavorativo davvero utilissimi .
Si rimprovera alla misure alternative di non essere sufficientemente afflittive, di non contenere al proprio interno una sufficiente retribuzione…chi lavora quotidianamente in questo settore sa invece come l’aspetto del controllo sociale e di polizia sia comunque molto presente.
Queste richieste presentate a gran voce dagli operatori Uepe da un decennio e rimaste inascoltate si ripresentano in tutta la loro forza in prospettiva dell’approvazione del DDL Alfano che prevede, almeno nel testo di cui si è potuta prendere visione sino ad oggi, che
Copia del provvedimento che dispone l'esecuzione della pena presso il domicilio è trasmessa senza ritardo al pubblico ministero nonché all'ufficio locale dell'esecuzione penale esterna per gli interventi di sostegno e controllo. L'ufficio locale dell'esecuzione penale esterna segnala ogni evento rilevante sull'esecuzione della pena e trasmette relazione trimestrale e conclusiva.
Anche qui la parte più coraggiosamente innovativa , l’introduzione della messa alla prova già nella fase di cognizione, è stata stralciata, mentre si pensa di poter ricorrere ( con tutte le problematicità connesse) alla detenzione domiciliare come strumento di deflazione della popolazione carceraria.
Chi come noi gestisce quotidiamente i detenuti domiciliari sa quanta fatica e attenzione richiedono in termini di fruibilità del territorio, di esigenze le più disparate, da quelle sanitarie a quelle famigliari e di lavoro.
Un detenuto domiciliare è molto faticoso in termini di sostegno e controllo e gli UEPE non potranno accollarsi quest’ulteriore competenza a costo zero!
Al Ministro e a al Presidente Ionta
Chiediamo alla politica di invertire la rotta e di essere semplicemente dotata di senso e di buon senso: ma davvero alla società interessa una persona che esca nella migliore delle ipotesi come prima da un carcere, quando non peggiore ?
Gli operatori chiedono a gran voce, almeno, un minimo di chiarezza.
In altre parole,che fine si vuol far fare agli UEPE?
Se non si crede nelle misure alternative, se si disinveste costantemente, l’Amministrazione decida che ne sarà di noi.
Sapremo prendere le nostre contromisure, perché nulla è più disorientante e offensivo per la nostra storia professionale e per una cultura di servizio costruita in 30 anni con tanta dedizione ed entusiasmo, di questa lenta e, per noi assurda, agonia. Ed è anche destabilizzante per gli interlocutori istituzionali e non.
Il disegno è quello di far sparire gli Uepe? Di “avere un’unica amministrazione con un’unica divisa”, come ebbe a dire il Presidente Ionta in un incontro al Provveditorato di Padova con le organizzazioni sindacali lo scorso anno?
Se quand’anche qualcuno ci abbia minimamente pensato , quale è lo sviluppo di progetto per l’esecuzione penale esterna ? ( il timore è che non ci sia proprio nessun pensiero in materia..)
E nel caso vi sia un minimo di proposta, quali priorità assumere? Come se non fossimo padroni del nostro destino , ma dovessimo ogni volta rispondere e adeguarci a una politica emergenziale rispetto alla quale dobbiamo sempre subordinarci.
Alla Direzione Generale Esecuzione Penale Esterna
Quindi qualche proposta al nuovo Direttore DGEPE Dr.ssa Culla : valorizziamo l’esperienza trentennale degli UEPE e ripartiamo dai saperi vivi e vitali di questo servizi per
valutare prassi e metodologie in atto per valorizzare il bagaglio di esperienze sin qui maturate nel campo del reinserimento sociale
promuovere una cultura del lavoro per progetti , anche per consolidare quelle reti territoriali di fronteggia mento delle problematiche già così meritoriamente costruite ma che necessitano di stabilizzazione e manutenzione
costruiamo ipotesi di studio e ricerca sui territori per conoscerne le mappe di devianza, gli interventi intrapresi , la fenomenologia dei reati e i dispositivi di fronteggia mento
una formazione ( e questo è un capitolo delicato) che ci permetta di disporre di un sapere giuridico e criminologico più adeguato
incentiviamo le iniziative di sinergia ( Piani di zona , convenzioni) con gli altri servizi pubblici e con il terzo settore.
Alla Magistratura di Sorveglianza
Permettemi una piccola ultima digressione sui rapporti con la Magistratura di Sorveglianza: a quasi 4 anni dall’indulto i dati ci dicono che siamo a circa 11.000 misure alternative : 6996 affidamenti, 3886 detenzioni domiciliari e 854 semilibertà . Si evidenzia come per molti Tribunali vi sia il ricorso massiccio alla detenzione domiciliare per vari motivi:
maggiore afflittività della misura rispetto all’affidamento
maggiori controlli da parte delle Forze dell’ordine
impianto prescrittivo molto più rigido
Rispetto agli orientamenti della Magistratura, allo scollamento che spesso avvertiamo tra le nostre proposte nel corso delle osservazioni in libertà o dell’equipe trattamentali nelle osservazioni della detenzione, ad un maggior peso dato spesso alle notizie delle Forze dell’Ordine che sovrastano e annullano quelle pisco-sociali, ad una prudenza divenuta in alcuni casi addirituttura timore a scommettere su una misura alternativa chiediamo l’apertura di tavoli operativi con i Magistrati dove poter individuare un linguaggio comune teso da un lato a tutelare la sicurezza pubblica e dall’altro al recupero del condannato.
Agli operatori UEPE , agli altri operatori dei servizi, alla società civile
Infine un appello alle lavoratori : è giunto il momento di far sentire con ogni mezzo la nostra voce , come organizzazione sindacale lanciamo la proposta di indire una giornata di mobilitazione che ci veda uniti e compatti su tutto il territorio nazionale per rivendicare una possibilità di far vivere una cultura altra della pena , più civile e rispettosa dei diritti umani di tutti.
RDB Penitenziari