La Direzione Aziendale Unicoop Tirreno SC finalmente batte un colpo. Troppo impegnata com’è di questi tempi a vendere i negozi della Campania ad un imprenditore privato di dubbia affidabilità, pensavamo che non trovasse il tempo né le parole per rispondere agli argomenti delle tante dipendenti (circa ottanta) che da un mese hanno sollecitato l’attenzione dei media sulla loro condizione.
Che l’azienda senta la necessità di rispondere è un buon segno, peccato che la risposta risulti evasiva sul merito della questione.
In ballo non c’è il rispetto del contratto. Non lo dicono le donne nella loro lettera, non lo dice Usb che peraltro quel contratto non l’ha firmato. In ballo ci sono innanzitutto le condizioni salariali. Ora scopriamo che anche l’azienda riconosce che in Italia esiste un problema di bassi salari. Unicoop Tirreno ci racconta che un lavoratore su due ha un contratto part-time ma non dice che il part-time non è quasi mai una libera scelta della lavoratrice, è l’unica possibilità che le viene offerta per essere assunta. La possibilità di migliorare questa condizione è remota e spesso non passa attraverso il merito o l’anzianità, il risultato è un salario che si aggira sui 700 euro mensili. Chi fa il part-time ha bisogno di svolgere una seconda occupazione per mettere insieme un salario appena sufficiente ma questo è reso impossibile dall’organizzazione del lavoro messa in atto da Unicoop Tirreno. I turni delle lavoratrici spesso vengono esposti il venerdì o il sabato della settimana precedente e variano in continuazione a seconda delle esigenze di Unicoop Tirreno e non nel rispetto dei tempi di vita e della cura delle famiglie. A volte, sempre per le esigenze di Unicoop Tirreno i turni vengono cambiati per telefono nella stessa giornata.
Sempre Unicoop Tirreno dice che il 31% dei part-time ha beneficiato tra il 2011 ed il 2012 di incrementi dell’orario di lavoro, ma non specifica che questo incremento è quasi sempre temporaneo e discrezionale. La speranza di poter ottenere questi incrementi costituisce uno degli strumenti preferiti dall’azienda per mantenere sotto ricatto chi lavora. Ed è questa discrezionalità e ricattabilità che le donne hanno voluto segnalare con la lettera a Luciana Littizzetto. Lo stesso tema delle molestie si riferisce a questo clima diffuso e solo una lettura ipocrita porta a fraintendere il senso reale di quelle parole.
Chi vive la realtà di un supermercato o di un ipermercato sa benissimo che è difficoltoso anche poter andare in bagno ed è spesso necessario chiedere il permesso. L’esigenza fisiologica viene considerata parte integrante dell’organizzazione del lavoro e del potere datoriale. E “denunciare, protestare o anche solo discutere le decisioni che ti riguardano non è affatto facile”. Le lavoratrici che hanno scritto quella lettera e le altre che l’hanno sottoscritta non possono esporsi direttamente, almeno fino a quando l’azienda non dichiari di essere disponibile ad un confronto libero con tutte loro.
Salario, possibilità di passare dal part-time al tempo pieno, contenimento della discrezionalità delle direzioni e contrattazione dei tempi e dei turni e, non ultimo, libertà di parola e di critica, queste sono le questioni in campo. Questioni difficilmente aggirabili che non si risolvono con il consenso dei sindacati compiacenti ma con la disponibilità al dialogo vero con tutte le parti, compresa USB che non ha nessuna intenzione di inchinarsi alla filosofia aziendale.
Per quanto riguarda poi l’assenza di segnalazioni puntuali riguardo a fatti specifici USB non può che ricordare alla smemorata Direzione Aziendale che dal maggio 2009 ha inoltrato:
- 19 comunicazioni inerenti: materie di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (DLgs 81/08), mancata applicazione delle norme sui riposi (L.66/2003) e igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, con alcune prescrizioni effettuate dagli enti preposti;
- 45 comunicazioni riguardanti richieste di incontro o diffide riferite a singoli lavoratori o gruppi di lavoratori in merito a violazioni contrattuali o violazioni personali e di privacy;
- la mancata presentazione al tentativo di conciliazione con 23 dipendenti alla Dtl di Livorno;
- la richiesta di incontro in merito all’acquisizione del dato biometrico (impronte digitali) di alcuni dipendenti alla quale Unicoop Tirreno non ha dato riscontro e ci ha costretto a ricorrere al Garante per la protezione dei dati personali;
- la segnalazione del comportamento omissivo in merito alle nostre denunce verbali delle molestie sessuali riservate ad alcune vostre dipendenti, inviataVi in data 25 febbraio 2010, che ha portato finalmente all’attivazione della procedura di allontanamento del responsabile;
- la lettera al Presidente datata 25 novembre 2011 dove si lamentava l’assenza di dialogo su queste delicate tematiche;
- oltre cento ricorsi depositati al Tribunale del Lavoro (solo alcuni dei quali ancora in via di deposito);
- Unicoop Tirreno vanta inoltre alcune condanne per Condotta Antisindacale.
Infine, che i ruoli di direzione e responsabilità siano ricoperti in gran parte da uomini è un dato così evidente che Unicoop Tirreno rinuncia a fornire elementi al riguardo. In questo caso ha prevalso il pudore, un altro buon segno in vista del nuovo anno!