Il 27 febbraio si apre, buon ultimo, il tavolo per il rinnovo contrattuale del comparto Istruzione e Ricerca. Un comparto complesso, costituito da quattro settori le cui peculiarità rendono sostanzialmente impossibile anche solo pensare quell’omogeneizzazione che, seppure non senza difficoltà, si sta tentando nel comparto delle Funzioni Centrali.
Non è un caso che questo contratto si apra per ultimo. Per farlo partire servono due atti di indirizzo, le figure professionali che operano al suo interno sono tante e tutte con esigenze diversificate, dagli insegnanti, sicuramente la componente più numerosa, ai ricercatori, passando per i docenti dei conservatori, oltre a tutto il personale tecnico amministrativo che cala in organizzazioni del lavoro anch’esse talmente diverse tra loro, da non essere neanche paragonabili.
Insomma un comparto che esiste solo sulla carta e che è urgente che venga diviso in almeno due comparti, uno per la Scuola, l’altro per Università Ricerca ed AFAM, ambiti sicuramente più idonei a dare risposte appropriate.
Un rinnovo quindi che porta, in un contesto già reso molto difficile dalla scarsità di risorse stanziate dal Governo Meloni, una serie di problematicità che renderanno la trattativa particolarmente complicata.
La questione salariale sarà comunque anche in questo contratto il nodo centrale che farà la differenza tra un buon contratto e un contratto a perdere, anche se il sindacato con la penna in mano ultimamente tende a fare confusione tra l’uno e l’altro e scambia il secondo con il primo.
Tutti, compreso il personale tecnico amministrativo, soffrono al pari dei colleghi di altri comparti, della perdita del potere d’acquisto dei salari a causa dell’inflazione del 17% nel triennio 2022-2024. In particolare, insegnanti, docenti e ricercatori sono tra le categorie più penalizzate nel confronto salariale con i propri colleghi degli altri paesi europei.
Da lì, dalla questione salariale che accomuna i quattro settori compressi nel comparto Istruzione e Ricerca, si deve partire per restituire dignità a categorie la cui funzione dovrebbe godere di ben altra considerazione, non solo pareggiando l’inflazione, ma portandoli al livello salariale degli equivalenti europei.
Tante altre questioni, legate ai singoli settori, tutte degne di attenzione, non sappiamo se troveranno spazio sul tavolo dell’ARAN, ma senza una risposta adeguata dal punto di vista salariale, il rinnovo 2022-2024 sarà in ogni caso un contratto a perdere e chi deciderà di firmarlo, firmerà anche l’ennesimo depauperamento dei settori intellettuali pubblici cui è affidato l’avanzamento culturale del Paese.