Il servizio sanitario pubblico sembra non riuscire ad uscire dal baratro nel quale è definitivamente precipitato durante l’emergenza Covid e, con l’aggravante della crisi energetica provocata dalla speculazione finanziaria, la sanità – soprattutto la pubblica - sembra inesorabilmente destinata al definitivo ridimensionamento. Le centinaia di migliaia di prestazioni che sono saltate durante la pandemia sono ben lungi dall’essere recuperate ed anzi le liste di attesa, se non sono addirittura chiuse, si allungano a dismisura, mentre il numero delle visite di controllo è in caduta libera e la chirurgia programmata sconta ritardi pesantissimi. In questa situazione di rallentamento nell’erogazione delle prestazioni, la cui causa principale è sempre e comunque da ricercare nella mancanza di personale, per i cittadini che ne hanno i mezzi rivolgersi alla sanità privata è diventato l’unica possibilità di accedere in tempi ragionevoli alle cure e alla diagnostica, mentre per gli altri c’è semplicemente la rinuncia a curarsi. I dati del MEF certificano che la spesa completamente a carico del cittadino è stata nel 2021 di ben 37 miliardi di euro con una crescita rispetto al 2019 di 2,2 miliardi ed è aumentata di ben 10 miliardi nell’ultimo decennio, attestandosi così a circa un quarto della spesa sanitaria complessiva.
Il Governo nella legge di bilancio, tanto per far capire che le priorità sono finanziare la guerra, togliere una delle poche misure efficaci contro la povertà, il reddito di cittadinanza, calare la mannaia dei tagli lineari sulla pubblica amministrazione e introdurre la flat tax, non ha destinato che le briciole alla sanità lasciando invariate le previsioni del DEF e destinando alla spesa corrente solo un paio di miliardi per le maggiori spese per l’energia che, di fatto, sono già stati erosi dall’inflazione. Una vera aberrazione considerando che già destiniamo alla salute pubblica molto meno di quanto spendono per esempio Francia e Germania che però, a differenza dell’Italia, hanno un’età media più bassa e una percentuale decisamente minore di ultra sessantenni che necessitano di sempre maggiore assistenza. Il Ministro Schillaci da parte sua non trova niente di meglio che negare la carenza di personale e proporre una sorta di cottimo proponendo di retribuire di più chi passa più tempo in corsia - ci mancherebbe fosse il contrario !! - e si limita semplicemente ad ignorare il drammatico fenomeno dei medici e degli infermieri che si dimettono dal servizio pubblico per poi tornare ad esservi impiegati, con retribuzione maggiore, o mediante contratti di appalto o a partita IVA e pagati a gettone di presenza. Lievitano così le spese delle azienda sanitarie che vi ricorrono e la carenza di personale non sfugge invece all’Ufficio Parlamentare di Bilancio che, nell’audizione del 5 dicembre davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, evidenzia che “ la carenza di personale assume i contorni di un’emergenza nazionale “ mentre per quanto riguarda la fuga dal servizio pubblico rileva che “ l’estensione del regime fiscale forfettario - flat tax - per i lavoratori autonomi può contribuire a incentivare la libera professione nel privato “ e che “ la mancanza di prospettive di rinnovo dei contratti fa dubitare che la capacità attrattiva del SSN possa essere rafforzata “ Un gran bel risultato !
Dato dopo dato quindi, statistica dopo statistica, abbiamo quasi la metà del personale infermieristico sopra i 50 anni per esempio, il quadro che si compone porta ad un’unica conclusione, e cioè che il servizio sanitario universale, baluardo del diritto alla salute di tutti si avvia a non esistere più sostituito, purtroppo, da un altro governato dalle assicurazioni, dai fondi integrativi e dalla sanità privata. Non a caso, quotidianamente e in maniera interessata, si moltiplicano gli studi che avvertono sull’insostenibilità del servizio sanitario universale, sulla riformulazione dei LEA e sulla necessità di orientare la spesa out of pocket sulle assicurazioni sanitarie, creando di fatto un sistema misto, e sulla necessità di coinvolgere maggiormente il privato come, incredibilmente, ha messo nero su bianco la Conferenza delle Regioni nella lettera di richieste e proposte inviata al governo prima dell’uscita della legge di bilancio.
E’ invece il momento per pretendere che i finanziamenti per la sanità pubblica vengano massicciamente aumentati. Spazziamo via una volta per tutte le ipotesi di spesa fantasiose, irrealizzabili e soggette a infiltrazioni mafiose quale quella per il ponte sullo stretto di Messina, attuiamo una riforma fiscale che recuperi gli oltre 100 miliardi evasi come certifica annualmente la Corte dei Conti, requisiamo gli extraprofitti fatti sulla pelle dei cittadini dalle compagnie energetiche, togliamo dalle mani delle regioni, sotto la gestione delle quali la spesa sanitaria è esplosa, la sanità e riportiamola sotto il controllo dello stato e le risorse per conservare una delle più belle conquiste che abbiamo ottenuto, il servizio sanitario pubblico, universale e gratuito, saranno come d’incanto sufficienti.