Nonostante lo schieramento favorevole al SI, che andava da Marchionne fino al capo del governo e tutti i ministri, passando per i notabili del PD, i NO sfiorano il 47 % dimostrando che c’è ancora la disponibilità dei lavoratori a lottare per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro.
Ora Marchionne dovrà tirare fuori i soldi promessi per gli investimenti e ai sindacati firmatari toccherà fare da cani da guardia della rabbia operaia e dei conflitti che l’accordo inevitabilmente produrrà.
Dentro le pieghe del si al diktat c’è però anche una questione sindacale importante, quella dei sindacati di comodo, vietati dalla Costituzione quando è l’azienda a promuoverli, ma ritenuti legittimi quando sono gli stessi sindacati a decidere di sposare appieno le scelte dei padroni anche quando sono palesemente di attacco ai diritti e alle condizioni di vita e di lavoro dei propri rappresentati.
Ora è tempo di riflettere sulla necessità improcrastinabile di una legge, non di un accordo pattizio, sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro che impedisca, da ora in poi, ai vari Marchionne, di scegliersi con chi sottoscrivere accordi, prescindendo dalla reale rappresentanza.
Ma è evidente che la situazione richiede la costruzione di un forte ed unitario soggetto sindacale confederale, conflittuale e democratico, capace di riorganizzare quella disponibilità al conflitto che è emersa anche nella vertenza FIAT.