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RIVOLTA CONTRO LA CHIUSURA DI ALCOA

Iglesias,

Gli operai occupano la fabbrica: «Continueremo la produzione». Molta tensione, nessuna violenza. Anche i dirigenti sono rimasti nello stabilimento fino a sera.

 

21 novembre 2009 - La Nuova Sardegna  di ERMINIO ARIU E GIUSEPPE CENTORE

PORTOVESME - La doccia fredda arriva alle nove del mattino. In un lungo comunicato, stilato dalla casa madre americana, Alcoa annuncia che «renderà temporaneamente inattive le produzioni presso le fonderie di Fusina e Portovesme». La notizia si sparge in un baleno a Portovesme. I lavoratori scendono immediatamente in sciopero. Chi è a casa è richiamato di corsa. A mezzogiorno cinquecento operai presidiano lo stabilimento. Si sentono presi in giro.
«Ci chiudono». La rabbia dei lavoratori esplode all’arrivo dei dettagli sulla decisione aziendale: blocco immediato delle produzioni, avvio delle procedure di cig per i dipendenti. Non è un segnale di chiusura immediata, ma è la fine del simbolo-Alcoa, industria modello diversa dalle sue vicine, attenta alle relazioni col territorio, da quelle con le istituzioni al rapporto col volontariato. Tutto spazzato via dopo la decisione dell’Ue che ha definito aiuti di Stato incompatibili le sovvenzioni sui prezzi dell’energia avute dal 2006 a oggi.

Promesse mancate. A nulla sono servite le promesse e i sorrisi di Scajola, che solo trentasei ore prima aveva garantito: «Alcoa non chiuderà, troveremo l’accordo per le tariffe». Ieri quelle promesse sono evaporate, e la tensione è esplosa. L’annuncio del direttore di stabilimento Marco Guerrini che annunciava alla Rsu l’avvio delle procedure di fermata delle celle elettrolitiche ha scatenato l’immediata reazione degli operai: dalle linee elettrolitiche, dagli uffici e dalla fonderia si sono riversati tutti nel piazzale antistante la sala riunioni, dove si stava concludendo il vertice tra la direzione aziendale e la Rsu, ed un centinaio di operai ha accerchiato i dirigenti trattenendoli in uno spazio ristretto.

Il blocco. «Il casco lo trasformiamo in elmetto da combattimento - ha detto un operaio - perché qui siamo ormai in battaglia per salvare il posto di lavoro». Poi dalle parole ai fatti: i vigilantes addetti ai controllo dell’ingresso principale e all’identificazione degli ospiti sono stati cortesemente invitati ad abbandonare la guardiola e il controllo dell’ingresso degli estranei è passato in mano ad un gruppo di operai. Il cancello dell’ingresso principale è stato chiuso e dietro le robuste sbarre metalliche sono stati sistemate decine di tonnellate di alluminio in billette. Bloccati dentro lo stabilimento sono rimasti anche decine di autotrasportatori che non sono riusciti a superare la sbarra d’uscita.

Il video. «Dallo stabilimento non esce nessuno - hanno detto Pierpaolo Gai, Bruno Usai e Alessandro Pisu della Rsu di fabbrica -. La produzione non sarà bloccata e andremo avanti finché ci sarà disponibilità di energia elettrica, allumina e combustibile. I cambi di turno si faranno regolarmente». I dirigenti non sono stati costretti fisicamente in uno spazio, ma a loro è stato consigliato di non allontanarsi, (ieri è circolato anche un video su internet dove due operai dal volto coperto dal passamontagna annunciavano l’occupazione dello stabilimento e il sequestro dei dirigenti. La goliardata è stata condannata dagli stessi dirigenti sindacali), e così il direttore, il suo vice e il capo del personale sono rimasti in sala riunioni con gli operai sino a sera. La polizia, con il questore vicario Giuseppe Gargiulo, è entrata solo per accertarsi che non ci fossero stati episodi di violenza fisica ai danni di alcuno. In serata l’assemblea è stata aggiornata a questa mattina, con la partecipazione di tutti i 23 sindaci della provincia, ma il blocco dello stabilimento ai cancelli e nei reparti di produzione è rimasto. Nessuna merce, se non quelle destinate a dar lavoro a una vicina fabbrica di laminati, è uscita o entrata.

La rabbia col passare delle ore è aumentata, perché i commenti che giungevano dalle fonti istituzionali non hanno convinto i lavoratori «Sono pronti a tutto - ha detto Angelo Diciotti, segretario territoriale CUB - e non è facile fermarli. Si sentono delusi da un’azienda che cambia versione dei fatti da un giorno all’altro».

La smentita di Toja. In realtà non c’è chiarezza su che cosa si siano detti l’amministratore di Alcoa Europa, Giuseppe Toja, e il ministro Scajola mercoledì pomeriggio, subito prima dell’annuncio beneaugurante di quest’ultimo. Forse Toja ha escluso solo la chiusura definitiva, che Scajola ha scambiato per chiusura anche temporanea. Da qui l’annuncio a tinte rosee, fatto anche per allentare la tensione dopo gli incidenti tra operai e polizia in via del Corso. E ieri sera lo stesso Toja è stato costretto a smentire la chiusura definitiva dello stabilimento, appellandosi all’avverbio «temporaneamente» presente nel documento ufficiale della casa-madre. Resta il fatto che il braccio di ferro tra azienda e governo continua. I vertici della multinazionale non da oggi, ma da almeno tre anni fanno capire che senza tariffe agevolate l’impianto sarebbe stato fermato. «La politica di Alcoa in tutto il mondo è che ogni impianto rimane in piedi solo se funziona in modo competitivo». Ecco perché gli americani hanno deciso di calcare la mano, dando un segnale forte all’esecutivo: non più promesse a vuoto ma fatti. I fatti che da cinque anni non si vedono. La mossa di Bruxelles era attesa, e prevista, quella di Alcoa pure. Anche la reazione degli operai era da mettere nel conto. Chi sarà capace di sparigliare le carte e chiudere la partita?