L’incontro di ieri, mercoledì 27 novembre, a Palazzo Vidoni ha riproposto senza soluzione di continuità la linea che ha caratterizzato fin qui l’agire del Ministro Zangrillo e del Governo Meloni rispetto al pubblico impiego.
Una stucchevole riproposizione delle parole chiave modernizzazione, cura delle persone, merito, attrattività, che avevano caratterizzato anche i precedenti incontri, con l’aggiunta del dispiacere per il blocco del turn over al 75% e “ la speranza” di contenerlo il più possibile, nonché la soddisfazione per il 5,78% di aumento relativamente al rinnovo contrattuale delle Funzioni Centrali appena concluso.
Il Governo tira dritto, supportato dall’ormai consolidato fronte sindacale filogovernativo, su una politica sul settore pubblico che si concentra su tutto ciò che non è salario e che non comporta spese, nel chiaro obiettivo di proseguire nell’opera di smantellamento dello stato sociale, iniziata e proseguita con governi di altro colore e che il Governo Meloni sembra voler pervicacemente completare. Un progetto nel quale rientra pienamente il ribasso sul costo del lavoro pubblico, goffamente coperto da una serie di misure normative la cui ricaduta nella migliore delle ipotesi è impalpabile e in alcuni casi addirittura rischia di essere dannosa.
Tutto ciò fa parte del più complessivo piano di bilancio di medio termine (il nuovo piano di rientro settennale firmato con l’Europa) nel quale si consuma il sacrificio dei lavoratori e delle lavoratrici del pubblico impiego e di ciò che rimane dello Stato Sociale necessario alla definitiva trasformazione del nostro modello sociale. Un obiettivo perseguito che trova supporto nella mutata geografia sindacale, all’interno della quale il sindacato autonomo trova definitivamente la propria collocazione più idonea a supporto della capofila CISL.
Anche la proposta di un tavolo a Palazzo Vidoni con il Capo Dipartimento e il presidente dell’ARAN di cui non si conoscono i contorni, né i temi disponibili, si colloca in questo quadro: una sorta di salvagente lanciato alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto delle FFCC che stanno facendo tanta fatica per spiegare a lavoratrici e lavoratori le meraviglie di un rinnovo che determina una perdita di salario reale.
Uno scenario che conferma la giustezza delle scelte compiute da USB PI nel quadro del rinnovo dei contratti del pubblico impiego e della più generale opposizione alla legge di bilancio e al piano di medio termine.
Dopo l’abbandono del tavolo all’ARAN e lo sciopero di categoria del 31 ottobre, continua la nostra battaglia sul fronte del salario con il referendum che, insieme a CGIL e UIL, proporremo ai lavoratori delle Funzioni Centrali, dando loro la possibilità di esprimersi direttamente sul merito del CCNL. Un momento di democrazia diretta, già di per sé estremamente qualificante, ma che assume in questo contesto un valore ancora maggiore perché è l’occasione per provare ad invertire una drammatica tendenza all’erosione dei salari dei lavoratori pubblici che dal 2010 hanno perso il 20,2% del potere d’acquisto.
Il Ministro, rispondendo alle nostre sollecitazioni, ci ha esortato a non sognare. I sindacati firmatari sostengono che il CCNL rinnovato è il miglior contratto possibile.
Se questo è il possibile, dobbiamo necessariamente esigere l’impossibile. Continuando a lottare e sognando.
Ma la verità è che si tratta di scelte.
Il Governo con i sindacati complici ha scelto di difendere il profitto e le politiche di guerra.
La nostra scelta è di difendere i salari reali dei lavoratori dal costante aumento del costo della vita e di difendere i cittadini dallo smantellamento dei servizi pubblici, e per questo saremo in piazza il 13 dicembre nello sciopero generale proclamato da USB.