L’assessore alle Politiche sociali del Comune di Comiso, Giuseppe Alfano, scrive un post in cui esalta gli imprenditori agricoli della provincia. Citiamo: “Sono le 04:00 del mattino. Che faccia freddo o caldo, che piova o brilli il sereno, eccoli, i produttori, commercianti e commissionari sempre pronti, con sacrificio e laboriosità, a far battere questo cuore pulsante della città. Ed io sono qui. Abbiamo fatto tanto e tanto altro continueremo a fare, sempre assieme! Solo uniti continueremo a crescere.”
In risposta all’assessore Alfano, vogliamo far trasparire un sottile filo di verità che possa almeno in parte tranciare l’insopportabile ipocrisia arraffa-voti di questo post.
---------------------------------------------
Sono le 04:00 del mattino.
Che faccia freddo o caldo, che piova o brilli il sole, eccolo, Youssuf, sempre pronto, in sella alla sua bici, con sacrificio e laboriosità, a recarsi nelle campagne del Ragusano per portare ortaggi, frutta e verdura sulle tavole degli italiani. È ancora buio, Youssuf indossa il giubbottino catarifrangente del suo sindacato, maneggia con cura l’insulsa lampadina del suo veicoletto di fortuna e va. Qualcuno suona, altri lo scansano appena prima di porre fine alla sua martoriata esistenza da migrante in Italia, l’Italia patriottica, di una madre cristiana ma… bisogna lavorare. È per i documenti, per la famiglia.
Un amico è stato investito e lasciato ferito, un altro, com’era… ah, Fodye Djaanka, quello che è stato travolto e ucciso qualche anno fa… Già, quello lì. Una di quelle storie che si dimenticano in fretta. Ma bisogna lavorare. È per i documenti per la famiglia.
Almeno della sua vita conosciamo l’epilogo, al contrario di quella del lavoratore Daouda Diané, scomparso nel nulla dopo un turno di lavoro. Ma bisogna lavorare.
Sono le 04:00 del mattino.
E lei è lì, caro assessore. È lì ad elogiare servilmente il padrone di Youssuf. Lo stesso padrone – il termine s’intenda in quanto tale, non è anacronistico e descrive pienamente lo status – che lo impiega nella sua serricoltura quotidianamente, lo stesso padrone che ha gentilmente fatto alloggiare il collega di Youssuf, Mustafa, in una baracca fatta di legno, vecchi blocchi di pietra e scarti plastificati delle serre – ma solo quelli che non vanno bruciati illegalmente per contribuire con fumarole, fitofarmaci e discariche in mare al nefasto disastro ambientale delle nostre coste, della nostra terra. Una casetta improvvisata, cosicché quell’animale, sacrificando un’intera esistenza ghettizzato in campagna, già che ci siamo, dia anche un occhio alle sue proprietà, no?
Lo stesso, signor assessore, che impiega 10, 100, 1000 Mustafa e Youssuf a rotazione, perché uno vale l’altro (su niviri, no?), quando alle 03:30 del mattino li sceglie in piazza Fonte Diana o “‘O Roddhiu” e li carica sul camion come un buon caporale che si rispetti.
Sempre lo stesso padrone, o caro assessore, che la gente che funge veramente da cuore pulsante della città e dell’agricoltura, la impiega in condizioni lavorative assolutamente fuori norma, senza alcun dispositivo di protezione individuale, nella negligenza più assoluta dei contratti nazionali di lavoro, facendola lavorare in nero perché… “governo ladro! Povere partite IVA!”: per un Mohammad o un Giuvannuzzu senza istruzione non si pagano contributi. Quando Giovanni e Mohammad sono fortunati, ottengono una condizione di lavoro grigio, con contratto fittizio e qualche giornata qua e là segnata in busta paga. E, se ottengono addirittura le 102 giornate per la richiesta di disoccupazione agricola, è festa grande.
Sono le 04:00 del mattino, signor assessore, e quel tizio che lei osanna è un padrone che strizza l’occhiolino agli abusi sulle lavoratrici di cui le nostre campagne sono piene. Queste non sono solo straniere ma anche donne e povere! Sa, signor assessore, che le lotte di genere, di classe e quelle anti-razziali si incontrano proprio per questi contesti?
E, ancora, lo stesso padrone che decide arbitrariamente quanto pagare una giornata di lavoro di 8, 10, 12 ore nelle serre con mille gradi all’ombra d’estate e persino lo stesso che, in caso di infortuni sul lavoro, anche gravi, ‘non ne sa niente’.
Invece che tessere le lodi di questi imprenditori, le andrebbe di venire con noi nelle campagne e di tastare personalmente l’odore della miseria? Le mostreremo un’altra realtà, che esiste parallelamente a quella civile. Le mostreremo i figli di Mohammad, Mustafa e Youssuf: loro non vanno a scuola perché sono invisibili esattamente come i loro padri, coi documenti trattenuti da un caporale. Le presenteremo anche Fatima e Irina: donne e a volte mogli che non conoscono la lingua italiana perché la loro socialità è limitata ai colloqui con familiari e caporali connazionali, che non conoscono la città perché spesso non hanno modo di spostarsi dalla campagna, non hanno accesso a cure mediche perché la sanità è un lusso per bianchi. E… se vengono stuprate da un caro imprenditore bianco… “se la saranno cercata! Quante persone fa mangiare quel padre di famiglia con le sue serre?”. Ma bisogna lavorare, è per i documenti, per la famiglia.
Sono le 04:00 del mattino e se il piccolo Khalil, figlio dei sopracitati, sta male, sa che si fa, signor assessore? Niente, assolutamente niente, se non sperare che il furgoncino di Emergency sia in zona quel giorno e possa salvare il salvabile, come fa sempre, esattamente come in un territorio di guerra. È importante perché Khalil, minore che paga il peccato originario del padre, ovvero quello di essere un proletario e pure straniero, l’indomani andrà anch’egli in serra a lavorare. Perché i soldi non bastano. Bisogna lavorare, è per i documenti, per la famiglia.
Perché questa è la realtà, signor assessore. Le campagne di Acate, Vittoria e Comiso sono un vero territorio di guerra. La guerra degli ultimi, degli invisibili.
Queste sono le realtà con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, per le lavoratrici e i lavoratori della fascia trasformata, anche italiane/i! La si smetta di parlare di campagne come il dannato fiore all’occhiello di questo territorio perché è un maledetto fiore intriso di sangue!
Ha mai incontrato un minore senza nome e senza carte, che vive in una sorta di stalla con gli animali e lavora nella serretta accanto? Cosa direbbe del suo elettore imprenditore in quel caso?
Disclaimer: ci sono imprenditori in regola che gestiscono il personale a norma di leggere? Certo. Ci sono italiane ed italiani impiegati in condizioni barbare: ASSOLUTAMENTE sì, ergo sia chiaro che le nostre lotte sono di classe e non di etnia.
Un assessore alle politiche sociali dovrebbe conoscere i contesti, appunto, sociali del proprio territorio.
Non accusiamo lei per la tragicità che contraddistingue questa terra, una terra di confine in cui regna il neoschiavismo, però puntiamo il dito verso una certa politica che strizza l’occhio a categorie che mi guarderei bene dall’esaltare, una certa politica che si batte il petto in chiesa alla domenica in modo pseudo-istituzionale alla faccia della laicità.
Accusiamo il suo partito e la robaccia partitica che gli fluttua accanto perché, a fronte di quelle condizioni di vita e di lavoro, Youssuf non può anche sentirsi dire di tornarsene ‘akkasaSUA!1’ perché la sua presenza destabilizza gli italiani.
La aspettiamo, signor assessore, nel fango delle serre. Ma, occhio, perché le sfilate politiche lì non servono. Gli stranieri non votano!
Quando “fate tanto e lo fate insieme”, fatelo a norma, magari non con il sangue delle lavoratrici e dei lavoratori agricole/i.
Si cambi prospettiva utilizzando i giusti soggetti: la narrazione è importante!
Federazione del Sociale USB Ragusa
Unione Sindacale di Base