Ancora una volta, come già fu alle elezioni politiche del 2018, hanno vinto le forze che hanno dato la sensazione di rappresentare la protesta e di interpretare l’insofferenza che si registra nella popolazione. Ha vinto il partito della Meloni, che non ha partecipato alla larghissima coalizione pro-Draghi, ed ha recuperato una buona fetta di consensi il Movimento Cinque Stelle, guidato da Conte, che è riuscito a smarcarsi da Draghi, avviando di fatto la crisi di governo che ha portato alle elezioni. Hanno perso invece tutte le forze che hanno convintamente sostenuto il governo del banchiere, a cominciare dal Pd, confermando la voragine che si va allargando tra l’establishment e lo stato d’animo di tanta parte del Paese.
Se nel 2018 i due partiti che uscirono vittoriosi si erano presentati alle elezioni con un programma visibilmente diverso da quello del governo di allora, ora Fratelli d’Italia vince le elezioni con un programma di sostanziale continuità con il governo Draghi. All’epoca fu necessario l’intervento del presidente della Repubblica, che condizionò finanche la scelta dei ministri, e i paletti fissati dalla Commissione Europea riportarono nei ranghi i due partiti “antisistema” in occasione della legge di bilancio di fine anno. Oggi invece gli esponenti di FdI già propongono una condivisione con i ministri del governo Draghi per scrivere assieme la Finanziaria.
Perché in realtà il governo a guida Meloni si appresta a governare nel segno della continuità. Sia sul fronte della politica estera e dei finanziamenti al riarmo della Nato, che su quello della politica economica.
A sinistra non hanno superato lo sbarramento del 3% le formazioni che proponevano un’alternativa di sistema, scontando probabilmente il poco tempo che hanno avuto a disposizione. Chi ha riportato un innegabile successo è stato invece il Movimento Cinque Stelle che si è presentato con un programma radicale, con proposte spesso condivisibili. Adesso bisognerà vedere se si è trattato di semplice tattica elettorale o se i grillini hanno seriamente intrapreso una linea di azione in discontinuità con il loro recente passato di governo.
La grande questione dei salari e dell’impennata dei prezzi (e delle bollette), che è il tema delle prossime settimane, sarà il banco di prova del prossimo governo. Proposte di seria discontinuità non ce ne sono nel programma elettorale di FdI: taglio del cuneo fiscale, flat tax, attacco al reddito di cittadinanza e poi tanto fumo sulla ridiscussione del PNRR. Sono né più né meno le idee che circolavano nel governo Draghi e che sono già nelle proposte di Confindustria e di larga parte della maggioranza uscente.
Passata la sbornia elettorale, torna in campo la realtà dei problemi, resa sempre più cruda dalla prosecuzione della guerra e da una recessione ormai alle porte con al seguito migliaia di licenziamenti e un pesante attacco alle condizioni generali di vita per milioni di persone.
L’USB ha già proclamato uno sciopero generale per il prossimo 2 dicembre assieme al mondo del sindacalismo di base. Non conosciamo ancora come sarà il prossimo governo né quali saranno le prime decisioni che assumerà, ma dal loro programma e dalla campagna elettorale appena conclusa, non è difficile intuire come si muoveranno. E pertanto sarà necessario costruire la più vasta mobilitazione possibile.
Ritroveremo nelle piazze anche quelli che non volevano la caduta del governo Draghi e che a luglio diramarono appelli affinchè Draghi restasse. Ritroveremo quelli che hanno sostenuto l’establishment ed hanno favorito lo spostamento a destra del clima generale del paese, regalando il governo alla Meloni. Sarà bene ricordarselo per non abboccare a nuove illusioni unitarie e avendo a cuore l’indipendenza e la chiarezza dei nostri obiettivi. Primo fra tutti: abbassate le armi – alzate i salari.
Unione Sindacale di Base
Roma 26/9/22