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Scuola Docenti

INVALSI:Come S/valutare la disabilità

Nazionale,

Approfondimento: intervento di una collega di USB ad un Convegno a Ferrara

Come valutare e svalutare la disabilità



Probabilmente per una questione di deformazione professionale, mi piaceva introdurre questo mio contributo con l’etimologia del termine che fa da chiave di volta a tutto il Convegno. Dal latino valitus, participio passato di valere “avere valore”, VALUTARE significa “attribuire un prezzo” a qualcuno o qualcosa, dopo averne scoperto e riconosciuto il valore intrinseco.

In termini di valutazione scolastica, “valutare” significa conoscere e acquisire elementi relativi al processo di apprendimento-insegnamento e, conseguentemente, attribuire uno specifico valore al fine raggiunto, cioè all’apprendimento dell’allievo, e al percorso effettuato per raggiungerlo, cioè l’insegnamento del docente.

La situazione diventa più complessa quando a dover essere valutati sono gli allievi diversamente abili: fisici, sensoriali, psichici … e ancor più cognitivi, il cui “valore” (inteso come attitudine, potenzialità, risorsa spendibile) non sempre è immediatamente manifesto, ma va scoperto e portato alla luce.

Ciononostante la valutazione è un “diritto”, sancito per legge, tanto per l’alunno normodotato quanto per l’alunno con disabilità, e quindi un “dovere” per tutti gli insegnanti.

La nostra Carta Costituzione è abbastanza esplicita in merito, quando, all’art. 3, sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione alcuna «di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Tant’è vero che lo Stato italiano ha il dovere di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Se, dunque, neanche le condizioni personali di un soggetto costituiscono elemento di diseguaglianza di fronte alla legge, non è poi così difficile capire che il diritto all’uguaglianza include anche i soggetti con differenti abilità: costoro devono poter sviluppare il loro potenziale e partecipare alla vita politica, economica e sociale del loro Paese, usufruendo di un trattamento pari, in termini di dignità sociale, a quanti per natura siano dotati di “normali “ abilità. Se a ciò si aggiunge che la scuola è aperta a tutti (art. 34) e che anche gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale (art. 38), allora diventa ancora più palese il diritto costituzionalmente sancito dei disabili all’integrazione scolastica, con tutto ciò che essa comporta, valutazione inclusa.

Nonostante l’ovvietà del tutto, tuttavia il processo che ha portato alla presenza degli alunni handicappati nella scuola di tutti è stato complesso e articolato, frutto del lavoro di professionisti, familiari, enti ed istituzioni che hanno avuto ed hanno a cuore la qualità della vita delle persone in situazione di difficoltà. Fino agli anni ’70 nessuna novità importante in termini di democratizzazione della scuola. Anzi!!! Le persone con handicap erano classificate in tre grosse categorie: i non educabili, che potevano essere assistiti ed accuditi a livello medico, ma non erano ritenuti in grado di stabilire alcun tipo di rapporto con altre persone; gli educabili, che potevano apprendere in modo spontaneo; gli scolarizzabili, infine, che potevano frequentare le istituzioni scolastiche. Di queste tre categorie, la prima fu relegata al chiuso della famiglia o di una struttura sanitaria; mentre, le altre due furono assorbite nel doppio canale formativo rispettivamente delle scuole speciali e delle classi differenziali (L. 1859/1962; DPR 1518/1967).

La prima svolta rivoluzionaria si ebbe con la legge civile n. 118 del 1971, che mise in discussione il concetto di “non educabilità”, partendo dal presupposto che l’educabilità è una condizione intrinseca all’essere uomini; è stabilì conseguentemente il diritto/dovere per i diversamente abili di svolgere l’istruzione dell’obbligo all’interno di classi comuni della scuola pubblica (eccezion fatta per i casi di gravi deficienze intellettive o gravi menomazioni fisiche).

Una seconda, più incisiva svolta, si ebbe poi nel ’77 con la legge scolastica n. 517: essa sanciva il principio in base al quale tutti sono non solo educabili, ma anche scolarizzabili. La differenza tra persona normodotata e persona handicappata si pose, allora, in altri termini, a seconda cioè che l’educazione informale (quella cioè di norma affidata ai primi anni di vita in ambito familiare) fosse avvenuta in modo spontaneo o necessitasse di un supporto intenzionale (educazione formale). Il diritto all’integrazione scolastica nella scuola elementare e nella scuola media fu esteso allora a tutti gli alunni con handicap psicofisico, cui venne garantito per la prima volta il supporto dell’insegnante specializzato.

Più lungo è stato l’iter per la scuola secondaria di secondo grado, dove attualmente sono inseriti soggetti dalle diversabilità più disparate.

Una volta riconosciuto il diritto di tutti a partecipare alle classi comuni della scuola pubblica ci si pose il problema della valutazione, fatto salvo il presupposto secondo cui, quando l'alunno ha regolarmente frequentato - anche se “dotato” di disabilità intellettiva - i docenti sono in grado e devono esprimere i propri giudizi valutativi.

Tali giudizi ovviamente, come si legge già nella Relazione Falcucci del 1975 e nella Sentenza della Corte Costituzionale 215 del 1987, devono valutare il grado di maturazione del soggetto, sia a livello globale sia a livello degli apprendimenti realizzati, a partire dalla specifica situazione di menomazione. Il che significa adottare non un criterio normativo riferito ad una realtà collettiva accertata (i compagni di classe), ma un criterio individuale che tenga conto della Diagnosi Funzionale dell’allievo (fornito dall’unità sanitaria) e del Profilo Dinamico Funzionale (elaborato collegialmente da operatori delle unità sanitarie locali, famiglia e scuola) e a partire da questi formuli un Piano Educativo Individualizzato.

Rispetto agli alunni disabili le disposizioni legislative che ribadiscono il concetto di valutazione individual

  • O.M. n. 90/2001

  • L. 104/1992

  • D. Lgs. 297/1994,

  • DECRETO ITRODUTTIVO DEI RINNOVATI STRUMENTI DI VALUTAZIONE 236/93

  • MODIFICHE N 80/95 SU SCRUTINI ED ESAMI

  • DPR 122/2009.

Tali provvedimenti indicano che la valutazione scolastica degli allevi diversamente abili:

  • deve aver luogo in virtù del suo carattere formativo ed educativo e dell'azione di stimolo che esercita nei confronti dell'allievo,

  • deve essere formulata in relazione agli interventi educativi e didattici effettivamente svolti sulla base del PEI,

  • deve essere riferita ai progressi compiuti in rapporto alle loro potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali,

  • deve essere effettuata collegialmente da tutti gli insegnanti, di sostegno e curricolari,

  • deve tenere conto delle attività integrative o di sostegno svolte, anche in sostituzione dei contenuti parziali di alcune discipline, nonché dei particolari criteri didattici o sussidi impiegati per rendere possibile il processo di apprendimento,

  • deve accompagnare l’intero iter formativo: dalla primaria alla secondaria di primo e secondo grado, secondo due differenti percorsi: l’uno finalizzato all’acquisizione del titolo di studi, l’altro al conseguimento di un attestato delle competenze e delle abilità raggiunte.

Lo studente con handicap che ha seguito un Piano Educativo Individualizzato riconducibile alle Indicazioni nazionali e comprensivo di tutte le discipline e che ha sostenuto le medesime prove orali e scritte di tutta la classe, pur differenziate in relazione al deficit, al termine del percorso consegue un regolare diploma. Viceversa lo studente con handicap che ha seguito un Piano Educativo Individualizzato differenziato a causa della gravità del suo deficit, magari non comprensivo di tutte le discipline, al termine del percorso scolastico riceve un attestato recante le competenze e le abilità maturate.

Tante sono state e continuano ad essere, per chi ci crede ancora, le esperienze scolastiche testimoni di come l’incontro con il deficit realizzi occasioni educative di interesse particolare per tutti i soggetti che le animano. E sono proprio queste esperienze che invitano a pensare che, quando il deficit viene riconosciuto e valorizzato all’interno dei sistemi sociali come uno tra gli elementi costitutivi di essi, la complessità e l’efficienza della esperienza culturale al loro interno cresce.

Peccato che da qualche anno a questa parte le famigerate prove INVALSI, che puntuali ogni anno arrivano tra i banchi di scuola, stiano remando contro i quasi quarant’anni di battaglie e conquiste in tema di inclusione scolastica, ritenuta tra le pratiche più avanzate e virtuose nel confronto internazionale.

A distanza di anni, nonostante le proteste e gli scioperi, il protocollo INVALSI ha cambiato l’indicazione dell’anno scolastico di riferimento, ma si è mantenuto identico sotto il profilo dei contenuti altamente discriminanti nei confronti della diversabilità. Nulla o quasi è cambiato!!!

L’unica figura in grado di decidere se e come un alunno disabile possa affrontare i test INVALSI continua ad essere il Dirigente Scolastico: non il consiglio di classe né tanto meno l’insegnante di sostegno.

Qualunque sia la disabilità (codice 1, 2, 3, 4 o 5), essa deve essere segnalata come negli anni scorsi, sulla Scheda-risposta dei singoli studenti onde evitare che venga inficiato l’effettivo monitoraggio dei livelli di apprendimento conseguiti dalla scuola.

I soggetti con bisogni educativi speciali continuano ad essere considerati fonte di potenziale disturbo per i compagni nel corso dello svolgimento delle prove, eventualmente da allontanare. Sono ammessi alle prove solo se capaci di operare in autonomia, senza l’insegnante di sostegno, espulso sistematicamente dalla classe.

Ma è davvero possibile che un DS abbia una conoscenza del singolo caso minimamente paragonabile a quella del consiglio di classe e addirittura dell’insegnante di sostegno?! Ha senso ed è eticamente corretto tenere l’allievo disabile impegnato per il tempo delle prove, nutrendo in lui l’illusione di essere uguale a tutti i suoi compagni, quando di fatto non lo è?! È realmente integrante un provvedimento che proibisca all’insegnante di sostegno di rimanere in classe e al soggetto disabile di svolgere i test insieme ai compagni, quando la sua presenza non sia autonoma e possa recare problemi all’espletamento della prova degli altri?!

Non lasceremo ai posteri l’ardua sentenza! Siamo convinti, infatti, che il sistema scolastico italiano possa e debba recuperare la propria natura inclusiva, riconoscendo, valorizzando e integrando le diversità – siano esse fisiche, psichiche, cognitive, socio-affettive o di altra natura; possa e debba operare nuovamente nella direzione dell’uguaglianza sociale ed educativa, mettendo tutti – normodotati e diversamente abili – nella condizione di partecipare, secondo le proprie possibilità, alla vita sociale ed essere riconosciuti come “persone” nel contesto umano e civile.

 

a cura di Maria insegnate a Ferrara

APPENDICE


Relazione Falcucci/1975

[…] La frequenza di classi comuni non implica il raggiungimento di mete culturali comuni. Lo stesso criterio di valutazione dell’esito scolastico deve perciò fare riferimento al grado di maturazione dell’alunno, sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati.

Sentenza della Corte Costituzionale 215/1987

Capacità e merito degli alunni con disabilità vanno valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di minorazione.


O.M. n. 90/2001, art. 15, comma 2

Per gli alunni in situazione di handicap psichico la valutazione, per il suo carattere formativo ed educativo e per l'azione di stimolo che esercita nei confronti dell'allievo, deve comunque aver luogo. Il consiglio di classe, in sede di valutazione periodica e finale, sulla scorta del Piano Educativo Individualizzato a suo tempo predisposto con la partecipazione dei genitori nei modi e nei tempi previsti dalla C. M. 258/83, esamina gli elementi di giudizio forniti da ciascun insegnante sui livelli di apprendimento raggiunti, anche attraverso l'attività di integrazione e di sostegno, verifica i risultati complessivi rispetto agli obiettivi prefissati dal Piano educativo individualizzato.


L. 104/1992, Art.16 - Valutazione del rendimento e prove d'esame.

  1. Nella valutazione degli alunni handicappati da parte degli insegnanti è indicato, sulla base del piano educativo individualizzato, per quali discipline siano stati adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline.

  2. Nella scuola dell'obbligo sono predisposte, sulla base degli elementi conoscitivi di cui al comma 1, prove d'esame corrispondenti agli insegnamenti impartiti e idonee a valutare il progresso dell'allievo in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.

  3. Nell'ambito della scuola secondaria di secondo grado, per gli alunni handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione.

  4. Gli alunni handicappati sostengono le prove finalizzate alla valutazione del rendimento scolastico o allo svolgimento di esami anche universitari con l'uso degli ausili loro necessari.


D. Lgs. 297/1994, Art. 318 - La valutazione del rendimento

  1. Nella valutazione degli alunni handicappati da parte dei docenti è indicato, sulla base del piano educativo individualizzato, per quali discipline siano stati adottati particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, anche in sostituzione parziale dei contenuti programmatici di alcune discipline.

  2. Nella scuola dell’obbligo sono predisposte, sulla base degli elementi conoscitivi di cui al comma 1, prove d’esame corrispondenti agli insegnamenti impartiti e idonee a valutare il progresso dell’allievo in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.

  3. Nell’ambito della scuola secondaria superiore, per gli alunni handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l’effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione.

  4. Gli alunni handicappati sostengono le prove finalizzate alla valutazione del rendimento scolastico, comprese quelle di esame, con l’uso di ausili loro necessari.


DPR 122/2009, Art. 9 - Valutazione degli alunni con disabilità

  1. La valutazione degli alunni con disabilità è riferita al comportamento, alle discipline e alle attività svolte sulla base del PEI ed è espressa con voto in decimi.

  2. L’esame conclusivo del primo ciclo si svolge con prove differenziate, comprensive della prova nazionale, corrispondenti agli insegnamenti impartiti, idonee a valutare il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.

  3. Le prove dell’esame conclusivo del primo ciclo sono sostenute anche con l’uso di attrezzature tecniche e sussidi didattici, nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico necessario (…). Sui diplomi di licenza è riportato il voto finale in decimi, senza menzione delle modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove.

  4. Le prove sono adattate, ove necessario in relazione al Piano Educativo Individualizzato, a cura dei docenti componenti la commissione. Le prove differenziate hanno valore equivalente a quelle ordinarie ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma di licenza.

  5. Gli alunni con disabilità sostengono le prove dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo dell’istruzione secondo le modalità previste dall’articolo 318 del decreto legislativo n. 297 del 1994.

  6. All’alunno con disabilità che ha svolto un percorso didattico differenziato e non ha conseguito il diploma attestante il superamento dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo, è rilasciato un attestato recante gli elementi informativi relativi all’indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, alle materie di insegnamento comprese nel piano di studi, con l’indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna, alle competenze, conoscenze e capacità, anche professionali, acquisite e dei crediti formativi documentati in sede di esame.

  7. I docenti di sostegno, contitolari della classe, partecipano alla valutazione di tutti gli alunni disabili […] Qualora un alunno con disabilità sia affidato a più docenti del sostegno, essi si esprimono con un unico voto.