Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

Comunicati generali Gli editoriali

La manovra succhia il sangue ai ceti sociali più deboli, ma ai mercati finanziari non basta.

Nazionale,

In allegato il documento impaginato

Nello stesso giorno in cui veniva definitivamente varata la peggior manovra che la repubblica italiana abbia mai conosciuto e che tutti gli analisti valutano in 78/80 miliardi a regime, l’ISTAT pubblicava il rapporto 2010 sulla povertà  in Italia.
La fotografia che ne scaturisce parla di un paese socialmente impoverito, con 8.272.000 persone, quasi mezzo milione in più del 2009, in condizione di povertà relativa che vivono, cioè, con meno di 496 euro a testa e con 1.156.000 famiglie in condizione di povertà assoluta, non in grado cioè di godere dei beni e dei servizi considerati il minimo indispensabile  per una vita al limite della decenza. E non pensiamo che questo livello di povertà colpisca i settori più emarginati, tra questi poveri il 6% è costituito da lavoratori, quelli che ora vengono definiti working poor, un termine che nasconde una drammatica realtà!
Su queste famiglie, sui lavoratori sia pubblici che privati,  sui precari, sui pensionati, sui cittadini  a basso reddito è calata, come una mannaia, la scure dei tagli contenuti nella nuova manovra finanziaria, dopo che questo governo fino a qualche settimana fa si sbracciava a dire che i conti pubblici erano a posto, che non c’era alcuna necessità di manovre correttive e che il Governo semmai si sarebbe dedicato a mettere in campo  una riforma fiscale per abbassare le tasse (sic!).
Le buffonate  hanno avuto vita breve, la realtà ha provveduto a smascherarle immediatamente.

La scure sulla sanità
Da ieri già in vigore il super ticket per esami diagnostici e visite specialistiche come i 25 euro da pagare per i codici bianchi al Pronto soccorso, che insieme al taglio dei servizi sanitari e alle ormai lunghissime liste d’attesa costituiranno un incentivo formidabile per il ricorso ai privati. Da notare che il blocco delle assunzioni in sanità colpirà tutte le figure professionali meno che i primari!
L’effetto combinato dei ticket, dei tagli ai servizi determinati dai piani di rientro dalla spesa, già imposti alle regioni, e del nuovo criterio di finanziamento basato sui costi standard costerà in media ad ogni italiano 206 euro in più.

I tagli alle detrazioni
Il taglio delle detrazioni e deduzioni, che chiaramente colpisce soltanto coloro i quali presentano la dichiarazione dei redditi e cioè nella stragrande maggioranza lavoratori dipendenti e pensionati, prevede il taglio lineare del 5% pari a 4/8 miliardi nel 2013 ma che salirà nel 2014 al 20% con un gettito di 20/32 miliardi se nel frattempo non si sarà provveduto a varare la cosiddetta riforma fiscale.
Costituisce un taglio sostanzioso alle agevolazioni assistenziali e detrazioni fiscali per i familiari a carico:  per le spese sanitarie, per il mutuo, spese per produzione reddito, per l’istruzione,  per gli asili nido e le palestre dei figli,  per le ristrutturazioni edilizie: un lavoratore con moglie e figlio a carico e con un reddito annuo lordo di 25.000 euro ci rimetterà 170 euro nel 2013  e 680 nel 2014. Una  famiglia con reddito annuo di 30.000 euro,  un figlio minore di tre anni,  un mutuo,  perderà circa 1130 euro in due anni!  Altro che politiche per la famiglia, saranno proprio i redditi medio bassi a pagare di più!

I dipendenti pubblici
I dipendenti pubblici, a fronte di un tasso d’inflazione in continuo aumento,  vedranno di fatto decurtato il loro reddito a  causa della proroga  del blocco dei contratti, già in vigore dal 2009, degli accordi integrativi e dei passaggi di livello, mentre  il blocco del turnover  e delle assunzioni determinerà il licenziamento  di centinaia di migliaia di precari che da anni prestano servizio nella pubblica amministrazione. Consistenti anche i tagli al finanziamento dei ministeri.

Le pensioni
Toccate di nuovo le pensioni, tutti lasceranno il lavoro più tardi. Chi dal prossimo primo gennaio raggiungerà i 40 anni di contributi potrà andare in pensione a 41 o a 41 anni e mezzo, rimettendoci tra l’altro 1/1 anno e mezzo di contributi che non verranno versati. Coloro i quali invece andassero in pensione per raggiunti limiti di età dovranno aspettare di più: la manovra prevede che l’aggancio all’aspettativa di vita scatti già dal 2013 e di tre mesi in tre mesi nel 2050 si potrà andare in pensione alla veneranda età di 70 anni !

La finanza Locale
Ma sarà sul fronte dei comuni e degli enti locali che  il peso della manovra si farà sentire pesantemente: i numeri degli effetti a regime del nuovo Patto di Stabilità parlano di tagli fino a 200 euro a testa per abitante per effetto delle misure contenute nel decreto sommate al taglio del 41% del fondo di riequilibrio del federalismo e del 10/15% dei fondi nazionali su spesa sociale e istruzione. Per di più si è stabilita la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, ad eccezione dell’acqua grazie al referendum. Insomma una stangata che costringerà gli enti a chiudere molti servizi,  ad aumentare il costo degli stessi e le tasse locali. La pesantezza dei tagli agli enti locali  smaschera il bluff con cui la Lega Nord  è riuscita a ottenere consensi per anni, evidenziando come il vero problema del paese non sia la regionalizzazione delle tasse e delle risorse economiche ma il loro utilizzo sbilanciato verso settori improduttivi come ad esempio le Forze Armate, l’iniqua distribuzione del carico fiscale, la mancata redistribuzione delle risorse economiche verso le fasce più deboli, l’enorme evasione ed elusione fiscale, tutte cose che il federalismo non combatte e che, anzi, esalta in negativo.
Non male per un governo che aveva come primo punto di programma quello di abbassare la pressione fiscale!
Ma dove veramente si è raggiunto il colmo è nella protervia delle cosiddette caste, o lobbies che dir si voglia, nel proteggere i propri interessi.

La lobby parlamentare e quella delle libere professioni
E mentre le tasche dei lavoratori, dei precari, dei pensionati rappresentano ormai il bancomat del governo, i costi della politica non vengono toccati. Si rimanda alla prossima legislatura l’adeguamento degli stipendi dei parlamentari non già alla media di tutta Europa ma solo dei sei principali paesi dell’aerea euro, ossia dei più ricchi. E come se non bastasse i furbetti li hanno agganciati in percentuale al PIL, insomma si sono fatti una specie di scala mobile tutta per loro. Nessun taglio ai benefit di cui godono e che scadranno solo a fine mandato. Rimane la possibilità di coniugare il doppio incarico di parlamentare e presidente di Provincia o assessore. A corollario di tutto ciò il governo sta pensando di togliere dal decreto attuativo del federalismo il taglio del 30% ai rimborsi elettorali dei partiti  che ricandideranno a una qualsiasi altra carica i presidenti di Regione “rimossi per grave dissesto finanziario dell’ente”!
Altra lobby parlamentare  che ha alzato le barricate ed è stata subito accontentata è  quella dei professionisti: la liberalizzazione è rinviata al confronto con le categorie ma gli ordini non verranno aboliti,  non a caso tra i parlamentari i più rappresentati sono gli avvocati, mentre non sono presenti né operai né impiegati!


Una manovra infame, votata in tutta fretta con il concorso responsabile dell’opposizione, su pressione di Napolitano, sigillata con il nuovo patto sociale siglato da CGIL CISL UIL e Confindustria, benedetta   come indispensabile per tranquillizzare i mercati  ma che difficilmente avrà effetti proprio su questo fronte. Alla speculazione finanziaria sembreranno bruscolini gli  80 miliardi estratti dalle tasche degli italiani a fronte di un debito pubblico pari a oltre 1900  miliardi di euro, come dimostra già l’andamento odierno della borsa di Milano.
L’esito di tutto questo rimane una stangata classista sulla pelle dei settori più deboli della società, che pone in primo piano la necessità di una dura riposta a cominciare dalle iniziative per impedire l’applicazione dei ticket sanitari, la svendita del patrimonio pubblico locale e la distruzione dei servizi sociali, oltre naturalmente per dare il benservito ad un ceto politico che bada solo ai propri interessi.