Rompere la passività e, contemporaneamente, lavorare a ricostruire l’organizzazione concreta del sindacato di classe in tutti gli spezzoni del mondo del lavoro. Sono questi i nostri obiettivi ed è questo il lavoro che abbiamo messo in campo nello sciopero generale di venerdì 26 maggio.
Sono in tanti quelli che pensavano di aver estirpato per sempre dal nostro Paese l’idea del sindacato di classe, sottraendo a tutti i lavoratori e le lavoratrici finanche la memoria che possa esistere e sia mai esistita l’esperienza concreta di una collettività umana organizzata, che riesca a mettere assieme i sogni, le speranze e il desiderio di giustizia di tutte le facce del lavoro.
Lo sciopero generale che abbiamo organizzato è la dimostrazione che quell’idea è ben viva da Trieste a Palermo, e che c’è una comunità in cammino per ricostruire il sindacato generale, indipendente e conflittuale in Italia.
Quel cammino, lo sappiamo, è una lunga, incessante e faticosissima lotta per la riaffermazione di diritti e condizioni di vita che ci hanno rubato. Una strada piena di ostacoli e di sbarramenti che hanno mille facce: normative, contrattuali, politico-sindacali oppure di uso esplicito della violenza, come è avvenuto ieri nella manifestazione di Milano.
I nostri nemici confidano nella disperazione e nella frammentazione dei lavoratori, nello spezzettamento del nostro fronte in mille battaglie isolate e in molti casi lavorano alla contrapposizione tra gli stessi lavoratori, stabili contro precari, italiani contro migranti, giovani contro anziani, e via dicendo, all’infinito.
Nelle tante battaglie concrete che hanno animato le manifestazioni e i presidi della giornata di sciopero generale si è visto il filo rosso che lega l’azione specifica dell’attivista sindacale che “vive tra i lavoratori” e il progetto generale, incarnato dalla nostra piattaforma sulle retribuzioni e dalla parola d’ordine “abbassate le armi – alzate i salari”. Quel lavoro di tessitura paziente, quella pedagogia di classe, che sono lo stile e la forza dell’Unione Sindacale di Base.
Il giorno dopo, con un po’ di orgoglio, possiamo dircelo amici e compagni dell’USB, “ben scavato, vecchia talpa”. Che non significa non vedere i nostri limiti, che restano enormi, ma rendersi conto che ci sono evidenti segni di avanzamento. In particolare, l’aver colto con il nostro sciopero, una voglia diffusa di opposizione e di resistenza: questo Paese è stanco di subire e ingoiare, anche se non ha ancora capito qual è la strada giusta per reagire e molti lavoratori ancora non credono che sia possibile.
Ora, con umiltà e passione, rimettiamoci a lavoro. Quell’entusiasmo e quella spinta che abbiamo saputo portare nelle piazze di ieri non sono ancora la rottura della passività. Sono piuttosto il segno che sotto la brace c’è un fuoco che arde, che quando riusciamo a parlare con i lavoratori riscontriamo voglia di capire e ricerca di punti di riferimento, che sono in tanti quelli che non bevono più le bugie del governo e dei media ma hanno bisogno di proposte chiare, dirette, facilmente comprensibili. Hanno bisogno di obiettivi comuni.
La spinta di ieri deve servire a proseguire la nostra azione sui posti di lavoro, riproponendo e spiegando le ragioni per cui i salari devono aumentare. Immergendoci ancora di più nella società e proponendo organizzazione collettiva e lotta. E deve servire a trascinare in avanti un fronte molto più ampio di soggetti, movimenti, organizzazioni per promuovere un’opposizione aperta e composita a questo governo che metta in discussione tutta la sua politica economica e le sue scelte di guerra. E che confluisca in una grande a manifestazione nazionale a Roma il prossimo 24 giugno.
Unione Sindacale di Base