Nella giornata di mercoledì 10 gennaio è cominciato il processo a carico del tecnico manutentore accusato di concorso in omicidio colposo per la morte di Luana D’Orazio, accusato di aver materialmente eseguito la manomissione dell’orditoio. USB e Rete Iside da tempo sono impegnate in un’importante campagna per l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro che, insieme ad altri soggetti politici e sociali e con il fondamentale apporto di figure come Emma Marrazzo, madre di Luana, è diventata una proposta di legge di iniziativa popolare per la quale siamo alle ultime settimane di raccolta firme.
Già dopo la prima udienza emergono notizie che ci mostrano come, purtroppo, l’uccisione della giovane operaia sia frutto di una cultura ormai troppo consolidata nel nostro paese: le misure a tutela di salute e sicurezza di chi lavora possono essere aggirate, i dispositivi di protezione manomessi per far andare più veloci i macchinari e aumentare i profitti, mentre chi lo fa non rischia così tanto. Ricordiamo, infatti, come i titolari dell’azienda in cui lavorava Luana hanno patteggiato e ricevuto pene lievi, usufruendo inoltre della sospensione condizionale e non scontando neanche un giorno di reclusione.
L’orditoio cui lavorava Luana e nel quale è stata trascinata, infatti, era manomesso in ben tre parti differenti per far produrre di più il macchinario. Ma non solo: anche un altro orditoio, quasi identico a quello su cui era al lavoro la giovane, era stato manomesso allo stesso modo. Luana, quindi, viveva una situazione di rischio per la sua vita comune in quella fabbrica: una vera e propria prassi, in totale disprezzo della vita dei dipendenti.
Occorre notare come la manomissione principale, inoltre, non sia di una tipologia che richiede particolari competenze tecniche. La saracinesca di protezione, che nel momento in cui la macchina era azionata in modalità veloce avrebbe dovuto garantire l’impossibilità di trascinamento all’interno del macchinario, era stata rimossa: un’operazione semplice, attuabile senza competenze particolari. Le altre operazioni riscontrate sui macchinari, invece, erano di tipo elettrico o elettronico.
È lecito chiedersi il perché macchinari che presentano parti a rischio possano essere alterati con questa facilità, qualcosa su cui dovrebbero interrogarsi anche le aziende produttrici. Se si costruiscono e progettano delle macchine con dispositivi di sicurezza facilmente eludibili, a nostro avviso, non si fa altro che assecondare quella mentalità che denunciamo da tempo: salute e sicurezza non devono essere più visti come un costo da ridurre per aumentare i profitti.
La deterrenza del reato di omicidio sul lavoro, in questo modo, potrebbe finalmente rendere questo meccanismo non più conveniente: il rischio di incorrere in pene severe avrebbe un effetto pratico ed immediato.
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Unione Sindacale di Base
Rete Iside