Nel caotico e desolante panorama logistico organizzativo messo in piedi (si fa per dire) dai vertici dell’amministrazione ed in cui da tempo si dibatte l’intera regione tra oggettive difficoltà, la sciagurata vicenda della Sede di Montesacro assume un valore emblematico, non fosse altro che per le spese spropositate incredibilmente sostenute (e ancora da sostenere), proprio sull’altare dello sbandierato risparmio a tutti i costi.
Riecheggiano nella testa le promesse dell’attuale direttore generale (11.04.2013) sugli spostamenti che sarebbero stati effettuati “esclusivamente a lavori ultimati” nonché le rassicurazioni verbali fornite, sia alla RSU che alle OOSS territoriali in sede regionale del tipo “Pensate forse voi che ci trasferiremmo se non fosse tutto a posto?” (24.04.2013).
Esattamente quattro anni dopo niente è ancora a posto.
Una volta preso atto della ennesima decisione assunta purtroppo unilateralmente e senza riflettere dall’amministrazione, le iniziative della USB per assicurare prima, durante e dopo a tutti i colleghi le condizioni minime di sicurezza si sono susseguite senza sosta ed organizzate spesso in beata solitudine, se non addirittura avversate. Sei mesi interi trascorsi tra diffide e dossier, assemblee e perfino volantinaggi per coinvolgere l’utenza, cercando di illustrare al meglio i motivi della rivendicazione, proprio perché quando si tratta di tutelare la salute e la sicurezza del personale non c’è ma che tenga. Fino alla denuncia presso la ASL competente per territorio, inoltrata dalla USB il 28.01.2014, che di fatto ha scoperchiato tutte insieme parecchie pentole. Da quel preciso momento si è scatenato un tourbillon di sopralluoghi, relazioni, incontri e verifiche che, giorno dopo giorno, hanno alimentato nel tempo la storia infinita.
Si è passati così dai documenti introvabili ai verbali più o meno insufficienti, dalle verifiche dei rispettivi uffici tecnici regionali ai rilievi effettuati lo scorso anno per individuare la presenza di microfibre di amianto che avrebbe dato esito negativo.
Il condizionale resta d’obbligo, perché una percentuale inferiore al 5% di amianto è comunque presente nel collante sottostante la pavimentazione tuttora esistente (vedi documentazione allegata), mentre per i tre piani interrati che ancora attendono il cambio di destinazione d’uso manca la definitiva agibilità.
I lavori di adeguamento alle norme antincendio sono iniziati in ritardo, ma sembra che si riescano a completare entro la fine del corrente mese, il che dovrebbe consentire il rientro pressoché immediato delle 52 unità trasferite sei mesi or sono presso la Sede di Roma Tiburtino.
Oggi, dopo le ultime rilevazioni effettuate sul campo, la situazione non può certo definirsi rosea, anzi: smaltire il materiale cartaceo e spostare gli archivi in pochi giorni, per provare poi a costruire una apposita vasca di riserva idrica, non è più realizzabile. In mancanza dell’indispensabile certificazione di agibilità, la Sede rischia a questo punto di chiudere definitivamente, con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
Non sono bastati evidentemente neppure i solleciti di una solerte RSU a scardinare questo muro di gomma, ci si è barcamenati per anni nell’approssimazione e nella superficialità. Fino all’ultimo decisivo e risolutivo rapporto dei Vigili del Fuoco, che ha messo l’amministrazione con le spalle al muro. Ma bisognava arrivare a questo???
Pur considerando le palesi inadempienze noi tutti ci facciamo carico ancora una volta, perché non vogliamo credere che quanto è stato realizzato nel tentativo di raddrizzare una situazione partita col piede sbagliato sia stato inutile.