All’interno della Spending Review, ispirata da un feroce odio di classe nei confronti dei lavoratori pubblici e dall’idea di continuare a demolire lo Stato sociale e cancellare i servizi pubblici, c’è una piccola norma, che riguarda il taglio del valore dei buoni pasto, che sembra dettata più da vendette interne alle amministrazioni pubbliche che dall’esigenza di realizzare un vero risparmio di spesa.
Il comparto degli Enti pubblici non economici, infatti, risulta il più colpito dalla norma che prevede che il buono pasto non possa superare i 7 euro. Meno di 50.000 lavoratori su un totale di 3,5 milioni subiranno una decurtazione del 40% del valore del ticket sostitutivo della mensa, per un risparmio “reale” che al massimo potrà raggiungere i 30 milioni annui.
Se il sacrificio richiesto ai lavoratori degli enti previdenziali e assicurativi fosse servito a far aumentare il buono pasto di chi, come nella Sanità, oggi percepisce circa 4 euro, almeno avrebbe avuto un senso. Invece la norma sembra piuttosto una freccia avvelenata scagliata dal Ministero dell’Economia, che da anni cerca di tagliare il salario accessorio dei lavoratori degli enti previdenziali e assicurativi e oggi si sfoga sul ticket mensa.
Si potrebbero accumulare risparmi molto superiori rispetto a quelli che produrrà il taglio del valore del buono pasto se solo si riportassero all’interno degli enti le attività affidate all’esterno o se si incominciasse a far pagare l’affitto dei locali e dell’hardware alle società private esterne che operano dentro le sedi istituzionali delle amministrazioni pubbliche con contratti milionari.
La norma va cancellata in sede di conversione del decreto e per questo ci batteremo con forza non rassegnandoci a subire un’ingiustizia.