Il dato riguardante lo sciopero generale dei lavoratori pubblici di giovedì scorso si è attestato nel Lazio (esclusa la DG) intorno al 15.44% e dunque poco sopra la media nazionale con 395 scioperanti e 614 assenti per cause varie sui 2.163 presenti: un dato lusinghiero che ci vede alle spalle della Lombardia (con 461), un dato di tutto rispetto anche se a livello nazionale bisogna però registrare un complessivo calo di adesioni dal nord al centro sud da tenere nel debito conto.
Si è trattato, a ben vedere, di una testimonianza ferma e determinata in difesa dello stato sociale e nel contempo di ciò che resta nel Paese del nostro Istituto, contro la facile politica dei tagli indiscriminati applicata un governo dopo l’altro.
Le reiterate rassicurazioni del ministro Madia per depotenziare in qualche modo lo sciopero indetto dalla USB si sono in realtà rivelate del tutto campate in aria in quanto, dati e documenti alla mano, al momento resta prevista l’attribuzione della sola indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio 2018-2020 e non sono state stanziate le risorse indispensabili per il rinnovo dei contratti pubblici fermi dal lontano 2009. Questo è quanto.
Mentre i confederali neppure si vergognano a manifestare palesemente tutta la loro inadeguatezza (quando non si trasforma nella solita complicità) limitandosi ad invocare la riapertura dei contratti per la sola parte normativa senza risorse economiche (sic!), il dipartimento della Funzione Pubblica sta programmando il progressivo arretramento dello Stato dai territori, il taglio a tappeto dei servizi all’utenza e la museruola per quella parte del sindacalismo non addomesticata.
Non avendo ottenuto risposte plausibili e steso definitivamente un velo pietoso sul fatto che non uno dei 44 punti della consultazione generale sulla cosiddetta riforma della Pubblica Amministrazione osa parlare di corruzione (consultazione alla quale per inciso ha partecipato una parte minimale dei dipendenti pubblici) l’attenzione si è comprensibilmente spostata su quelli che dovrebbero essere di norma i contenuti della riforma fantasma, spacchettata per volere di re Giorgio ed in procinto di essere finalmente diramata con il decreto reale. Ma sarà vero?
Il problema di fondo è che una riforma della PA degna di questo nome, anziché prevedere solo il taglio del 50% dei permessi sindacali, lo spostamento forzoso dei dipendenti pubblici entro i 50 km. ed il relativo demansionamento, avrebbe invece dovuto contenere al suo interno norme precise sull’agognato turn over, su nuove assunzioni e pensionamenti, nonché sulla stabilizzazione dei 250.000 lavoratori precari che, a detta della stessa Madia, subiscono “palesi ingiustizie”.
Ma di tutto questo nelle bozze che tardivamente si susseguono tra un dicastero e l’altro non c’è alcuna traccia, con buona pace dei sostenitori di questa riforma e di chi ancora oggi pietosamente invoca la cosiddetta staffetta generazionale. Come se il governo oggi in carica non avesse il potere e il dovere di cancellare la controriforma Fornero ed avviare un serio piano di potenziamento della PA.
Mentre già si prepara la prossima manifestazione sul contro-semestre popolare europeo per dare risposte concrete e cercare soluzioni dal basso alla miriade di problemi procurati a 3 milioni di lavoratori dall’Europa delle banche e dei tagli…