I 44 punti della Riforma della pubblica amministrazione annunciata dal Presidente Renzi e dal Ministro Madia risultano in linea con la politica di tagli allo Stato sociale e di attacco ai diritti dei lavoratori del pubblico impiego attuata dai diversi governi negli ultimi sei anni. Non c’è solo rigore contabile in tale politica imposta dall’Europa, ma un furore ideologico contro le funzioni della pubblica amministrazione e il ruolo dello Stato.
Il potenziamento della mobilità coatta, il ricorso al demansionamento, l’arretramento dello Stato dai territori, lo svilimento della ricerca pubblica, la riduzione delle aziende municipalizzate senza un progetto di reinternalizzazione di servizi e lavoratori, sono solo alcuni degli elementi negativi che caratterizzano l’annunciata riforma. Non basta pensare di assegnare un “pin” ai cittadini per risolvere il problema dei rapporti con gli uffici pubblici. Milioni di cittadini saranno così costretti a rivolgersi a patronati e ad altri soggetti privati per mediare i rapporti con la pubblica amministrazione.
Se, quindi, da una parte non ci si preoccupa di far funzionare meglio la macchina statale, dall’altra si prosegue nell’azione di smantellamento dei servizi per i cittadini, di riduzione dei posti di lavoro (oltre 300.000 in sei anni) e di attacco ai lavoratori pubblici, i cui contratti sono scaduti alla fine del 2009. E la “farsa” degli 80 euro spacciati come rinnovo contrattuale si commenta da sola. Nel pubblico impiego forse solo il 10/15% del personale percepirà qualche decina di euro mensili. Chi ha un reddito di 26.000 euro lordi annui può essere considerato un ricco? Il rinnovo del contratto, poi, è un diritto del lavoratore, indipendentemente dal reddito. Nei piani del governo, invece, c’è il blocco dei contratti addirittura fino al 2020 e nessun intervento complessivo è previsto per la stabilizzazione del rapporto di lavoro dei circa 250.000 lavoratori precari pubblici.
Eppure, di fronte ad una crisi economica che non ha precedenti negli ultimi settant’anni, lo Stato dovrebbe tornare ad avere un ruolo centrale nella produzione di buona occupazione, lanciando un piano di grandi opere sociali per esempio per la messa in sicurezza del territorio e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Paese.
Perché l’attuale governo non pone tra le proprie priorità una seria lotta all’evasione fiscale, che sottrae ogni anno al bilancio dello Stato almeno 160 miliardi? Perché non si aggredisce seriamente la corruzione pubblica, che pesa ogni anno per 60 miliardi? Il recupero di tali risorse potrebbe realmente rimettere in moto l’economia e restituire ai cittadini e ai lavoratori servizi e reddito.
Come può l’attuale governo presentare una proposta di staffetta generazionale nel pubblico impiego e non porsi il problema dell’immediata abrogazione della Riforma delle pensioni Monti-Fornero, che ha ulteriormente allungato i tempi di uscita dal lavoro? Il tema delle pensioni neanche sfiora l’interesse del governo Renzi, eppure l’attuale sistema di calcolo contributivo a regime produrrà pensioni da fame e i giovani lavoratori e precari di oggi ne pagheranno il prezzo più pesante, ma la soluzione non può essere la previdenza complementare.
Contro un governo che rifiuta il confronto con il sindacato, proseguendo l’opera di smantellamento dello Stato sociale avviata dai governi precedenti, lo sciopero generale della categoria diventa necessario e non rinviabile.
USB Pubblico Impiego ha proclamato per l’intera giornata del 19 giugno 2014 lo sciopero generale per l’immediato rinnovo dei contratti, la stabilizzazione di tutti i precari e l’assunzione degli idonei dei concorsi già espletati, la reinternalizzazione dei servizi e l’assunzione dei lavoratori delle società appaltatrici, la restituzione dei servizi pubblici ai cittadini. Nella stessa giornata USB Lavoro Privato chiamerà allo sciopero i lavoratori delle aziende a capitale pubblico, delle partecipate, delle società, dei consorzi, delle cooperative appaltatrici di servizi pubblici. Manifestazioni si svolgeranno in tutte le regioni.
Basta tagli. La pubblica amministrazione non deve essere considerata la palla al piede del Paese ma uno strumento essenziale per la vita dei cittadini e sulla pubblica amministrazione occorre tornare ad investire nell’interesse generale.