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RASSEGNA STAMPA

UN PIANO STRAORDINARIO PER L'EDILIZIA, LIBERTA' DI AMPLIARE O RICOSTRUIRE

Roma,

Il progetto di alcuni governatori del centrodestra sarà in parte ripreso dall'esecutivo Possibile un aumento delle cubature fino al 20%. Chiesta anche una sanatoria

Repubblica 7 marzo ‘09

di Alessandra Carini

C'è chi la chiama legge anti-catapecchie, chi un rinnovamento edilizio stile Obama, cioè per promuovere l'utilizzo delle fonti di energia alternativa. Ma la rivoluzione annunciata da Silvio Berlusconi per l'edilizia, "un piano straordinario con effetti eccezionali sulla casa", dice il premier, promettendone l'approvazione al prossimo consiglio dei ministri, è anche qualcos'altro. C'è un intervento di edilizia popolare con un piano da 550 milioni concordato con le regioni: le case saranno date in affitto a giovani coppie, anziani, studenti e immigrati regolari, con diritto di riscatto. Ma il grosso della manovra è un altro: il via libera a un sostanzioso aumento delle cubature di tutto il patrimonio edilizio esistente, una liberalizzazione spinta delle norme per costruire, un ritorno in alcuni casi al "ravvedimento operoso" dal sapore di condono. C'è un articolato, già discusso da Berlusconi con i governatori del Veneto, Giancarlo Galan, e della Sardegna, Ugo Cappellacci, che costituisce l'ossatura di quella "rivoluzione" annunciata ieri, che ha ottenuto già l'approvazione delle due Regioni. È probabile che al prossimo consiglio dei ministri il premier proponga un progetto molto simile a quello dei governatori. Vediamolo questo progetto di stampo "federalista" che potrebbe essere ripreso in gran parte dal governo. Titolo: "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per promuovere l'utilizzo di fonti di energia alternativa". Dà la possibilità alle Regioni che la accettino, di ampliare gli edifici esistenti del 20%, di abbattere edifici ( realizzati prima del 1989) per ricostruirli, con il 30% di cubatura in più, in base agli "odierni standard qualitativi, architettonici, energetici", di abolire il permesso di costruire per sostituirlo con una certificazione di conformità, giurata, da parte del progettista, di rendere più veloci e certe le procedure per le autorizzazioni paesaggistiche. Il primo punto riguarda l'ampliamento degli edifici esistenti. I Comuni posso autorizzare, " in deroga ai regolamenti e ai piani regolatori" l'ampliamento degli edifici esistenti nei limiti del 20% del volume, se gli edifici sono destinati ad uso residenziale, del 20% della superficie se sono destinati ad altri scopi. L'ampliamento deve essere eseguito vicino al fabbricato esistente. Se è giuridicamente o materialmente impossibile sarà un " corpo edilizio separato avente però carattere accessorio". In caso di edifici composti da più unità immobiliari l'ampliamento può essere chiesto anche da singoli separatamente. Ma non basta. La Regione "promuove" la sostituzione e il rinnovamento del patrimonio mediante la demolizione e la ricostruzione degli edifici realizzati prima del 1989, che non siano ovviamente sottoposti a tutela, e che debbono essere adeguati agli odierni standard qualitativi, architettonici ed energetici. Anche qui i Comuni possono autorizzare l'abbattimento degli edifici ( in deroga ai piani regolatori) e ricostruirli anche su aree diverse ( purché destinate a questo scopo dai piani regolatori). Qui l'aumento di cubatura previsto è del 30% per gli edifici destinati a uso residenziale, e del 30% della superficie per quelli adibiti ad uso diverso. Se si utilizzano tecniche costruttive di bioedilizia o che prevedano il ricorso ad energie rinnovabili l'aumento della cubatura è del 35%. Tutti questi interventi debbono rispettare le norme sulle distanze e quelle di tutela dei beni culturali e paesaggistici, non potranno riguardare edifici abusivi, o che sorgono su aree destinate ad uso pubblico o inedificabili, non potranno essere invocate per aprire grandi strutture di vendita, centri commerciali. Sono previsti sconti fiscali: il contributo di costruzione sugli ampliamenti sarà infatti ridotto del 20% in generale e del 60% se la casa è destinata a prima abitazione del richiedente o di uno suo parente entro il terzo grado. Fin qui la legge che verrà proposta alle Regioni, che ha già la disponibilità di Veneto e Sardegna, anche se non c'è dubbio che, con Comuni assetati di quattrini e assediati dalla crisi economica, le adesioni saranno molte. C'è anche una ridefinizione delle sanzioni, solo amministrative nei casi più lievi e più severe se nel caso di beni protetti. E' previsto un ambiguo "ravvedimento operoso con conseguente diminuzione della pena e nei casi più lievi estinzione del reato", dal sapore di condono, e norme per semplificare le procedure riguardanti i permessi in materia ambientale e paesaggistica.

Repubblica 8 marzo ‘09

Il segretario del Pd boccia la proposta del presidente del Consiglio

"E' assolutamente uno sbaglio ed è campata sulla luna"

 

PIANO CASA, IL NO DI FRANCESCHINI "E' CEMENITIFICAZIONE DELL’ITALIA"

L'Idv: "E' la casa delle libertà abusive". Casini: "Voglio capire"

 

ROMA - Il piano per la casa "è bocciato" perché si tratta "di una cementificazione dell'Italia" e per di più anche "campata sulla luna". Così il segretario del Pd Dario Franceschini, nel corso di In mezz'ora su RaiTre, boccia la proposta del premier di un nuovo piano per l'edilizia. Altro che volano per far ripartire l'economia. Quello che il governo vuol varare è un rischio per il nostro Paese. Rifiuta in toto l'idea di Berlusconi, il leader del Pd. Ricorda le parole del premier e le stigmatizza. "Ieri - prosegue il leader del Pd - il presidente del Consiglio ha detto che chi ha una villa potrà aggiungere uno o due stanze, dando il senso di come lui immagina vivano gli italiani. Gli italiani vivono al secondo, al terzo piano di un condominio, in case bellissime nel centro storico. Vorrei che spiegasse loro dove lo ampliano questo 20 per cento. Sul pianerottolo? Nell'ingresso?". Per Franceschini, poi, "il rischio cementificazione è pericolosissimo soprattutto in Italia, perché nella globalizzazione ogni Paese deve investire in quello che ha e ciò che ci rende unici è l'Italia stessa, il paesaggio, il centro storico. Rovinare il nostro territorio è come se un Paese arabo bruciasse il petrolio. Non possiamo rovinare ciò che ci rende unici". E sul rischio ambientale torna anche Ermete Realacci che vede nella mossa dell'esecutivo "una sorta di tana libera tutti che sicuramente sarà raccolto da interessi illegali e speculatori e produrrà scempi nel paese. Esattamente la stessa cosa che accadde con i condoni edilizi". Lapidario l'Idv che vede in arrivo "speculazioni e affari dei furbetti". "E' la casa delle libertà abusive" dice Massimo Donadi. La critica al piano del governo arriva anche dall'Udc che, per bocca di Luca Volontè, parla di iniziativa per "i benestanti" a fronte di un Paese "alla fame". "Ci sono già decine e decine di migliaia di appartamenti invenduti in Italia. Il 'piano casa' rischia di essere ancora aria fritta indigesta" dice l'esponente centrista. Mentre drastico il giudizio di Pier Ferdinando Casini, che dell'Udc è il leader, che si dice "non pregiudizialmente contrario al piano", chiedendo però di "capire bene di cosa si tratta" e paventando il rischio cementificazione. Un affondo diretto che vede la maggioranza serrare i ranghi. "La casa e' la ricchezza dei poveri e, dunque, questa è una risposta sociale alle incertezze della crisi" dice il ministro per l'attuazione del programma, Gianfranco Rotondi. Secca la replica del presidente del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: "Il Pd di Franceschini si allinea alla strada del peggiore Di Pietro. Solo insulti, nessuna idea originale, ma parole a vanvera".

OTTO ANNI DI BOOM EDILIZIO MA RESTA LA FAME DI CASE

Dal 2000 quasi raddoppiate le nuove abitazioni

Si è costruito moltissimo per il mercato e poco per le fasce deboli

di Rosa Serrano

Quanto è cresciuto in questi anni il patrimonio abitativo italiano? Quanti metri cubi di cemento si sono posati uno sull'altro per venire incontro alla richiesta di case delle famiglie italiane? E soprattutto, questo bisogno è stato alla fine soddisfatto? Alla vigilia della nuova "rivoluzione del mattone" annunciata dal presidente del Consiglio, cerchiamo di dare qualche risposta, di diradare qualche dubbio. E come prima cosa, scopriamo che dal 2000 ad oggi il flusso di nuove abitazioni costruite ogni anno si è fatto via via sempre più impetuoso. Il dato ci viene fornito dal Cresme: nel 2000 erano 159 mila. Lo scorso anno quasi il doppio: 287.000 (che salgono a 323 mila se includiamo gli ampliamenti di edifici esistenti). Un balzo di oltre l'80 per cento, che sarebbe stato anche maggiore se nel 2008 non si fosse registrata una lieve flessione. L'Agenzia del territorio non fa che confermare questo boom pluriennale del mattone: tra il 2003 e il 2007 il patrimonio residenziale complessivo (cioè lo stock esistente) è salito da 28,8 milioni di abitazioni a 31,4: 2 milioni 600 mila in più. Metà di questo aumento è concentrato al Nord. Il resto se lo dividono Centro e Mezzogiorno con una prevalenza di quest'ultimo, dove lo stock è salito di 700 mila unità. Malgrado l'ultimo rallentamento creato dalla crisi economica, si è tornati a costruire allo stesso ritmo degli anni '80, decennio che conobbe il primo grande condono edilizio, quello deciso da Bettino Craxi. Seguìto dalle due sanatorie di Berlusconi e dalla legge "padroni a casa propria", che oggi il premier vuole in qualche modo riprendere ed estendere dalle ristrutturazioni interne alle cubature esterne. Di fronte a questo rinnovato e duraturo boom edilizio, ci si aspetterebbe di veder soddisfatta gran parte della fame di abitazioni delle famiglie italiane, ancora non proprietarie. Invece no. Sentiamo quello che ci dice l'associazione dei costruttori, l'Ance, in un suo report. Nel quadriennio 2003-2007 sono stati rilasciati permessi per costruire 1,2 milioni di alloggi a fronte di un fabbisogno abitativo proveniente da nuove famiglie di circa 1,5 milioni di case. Insomma, alla fine ci sono 78 abitazioni per 100 nuove famiglie. Cosa significa questo? Che bisogna costruire ancora di più? In realtà, finora si è costruito moltissimo per il mercato (sempre più ricco) e pochissimo per l'edilizia popolare. Al rilancio di quest'ultima ora punta il Piano Casa che il governo ha sbloccato ieri l'altro con le Regioni. Si cerca in altre parole di intercettare quelle fasce deboli di famiglie tagliate fuori in tutti questi anni dai prezzi inaccessibili e dalla stretta creditizia che ha drasticamente ridotto il ricorso ai mutui soprattutto da parte di giovani o immigrati. Ma tagliate fuori anche da una scarsa offerta di case in affitto a canoni possibili. Chi contesta, come gli ambientalisti, il ricorso a nuove costruzioni, ricorda a questo proposito il fenomeno delle case sfitte. Secondo una recentissima ricerca del Sunia, a Roma sono oltre 245.000 su 1,7 milioni di abitazioni; a Milano 81.000 su 1,6 milioni. Oltre al piano di edilizia popolare che il governo cerca di legare a una maggiore offerta di affitti a basso prezzo, resta da capire se e in che misura la "liberalizzazione edilizia" che Berlusconi si appresta a presentare (con libertà di ampliare, di demolire e di ricostruire case) verrà incontro alle esigenze delle famiglie attraverso il recupero del patrimonio abitativo esistente, o se verrà utilizzato solo per nuove speculazioni edilizie.

L’Unità 9 marzo ‘09

«Così si favorisce l’abuso e si distrugge il territorio. Il governo si fermi»

Maria Rita Lorenzetti, presidente dell’Umbria, boccia il piano casa del governo ma è pronta a sedersi al tavolo «per trovare le soluzioni migliori per i cittadini».

di Federica Fantozzi


Il ministro Fitto annuncia di aver chiuso l’accordo con le Regioni, che presto arriverà una legge quadro e che con il piano casa ripartirà il Paese. È così?

«Intanto chiariamo che né il ministro nè il governo ci hanno consultati: ora la cosa migliore è fermare tutto e discutere con le Regioni. Poi ricordiamoci che i 550 milioni per l’edilizia pubblica annunciati dal governo li aveva già assegnati Prodi. A luglio scorso Tremonti li ha tolti, sebbene alcune regioni, come l’Umbria, avessero avviato i progetti. Se li avessero lasciati sarebbe stata una bella infornata di risorse per l’edilizia, i cittadini e le piccole imprese».
Insomma l’esecutivo ha solo restituito ciò che aveva tolto?
«Esatto. Procurando un ritardo allo sviluppo dell’economia. Lo stesso vale per i Fas: ieri il Cipe ne ha approvati 8. Se fosse successo prima, erano fondi per case, riqualificazione urbana, infrastrutture ambientali, aree industriali...».
Lei del piano che permette di ampliare il volume degli edifici e ricostruire quelli con più di 30 anni non sapeva nulla?
«Assolutamente no. Eppure ho trattato il recupero dei fondi per l’edilizia pubblica. 200 milioni subito per progetti già cantierabili, gli altri 350 più avanti. E in tante riunioni e telefonate non è mai uscita un’idea simile».
Molti dicono: che male può fare ricoprire una terrazza?
«Molto abusivismo nasce da interventi di tamponatura di balconi e porticati. Così si rischia di stimolare gli abusivi e distruggere il territorio».
Una o due stanze in più. Rischia di essere uno slogan molto popolare in tempi di crisi.
«Ma certo, l’effetto mediatico può essere molto forte. Di gente che ha bisogno e non può permettersi grandi spese ce n’è. Ma ogni Regione e Comune sa come regolarsi per rispondere a queste giuste esigenze. Si possono trovare norme purché non confuse, inefficaci e approssimate come queste».
Qual è l’approccio giusto?
«L’esecutivo non ha minimamente discusso con chi ha competenze ed esperienza, vale a dire gli enti locali. Non mi è mai capitato, finora, un caso insolubile. Non ci si può nascondere dietro situazioni di disagio per fare scempio del territorio. È immorale».
È vero che c’è un eccesso di burocrazia nei regolamenti edilizi?
«Certo che una semplificazione è augurabile. Ma non una deregulation selvaggia. Io sono stata azzannata dagli ambientalisti per aver varato una legge che permette investimenti nei centri storici. Con norme certe, precise, trasparenti però. Se si lascia ognuno libero di fare quello che vuole, non sono d’accordo».
Se il piano diventerà realtà, l’Umbria lo applicherà o no? C’è qualche parte che giudica salvabile?
«Il governo e soprattutto Fitto sanno bene che noi siamo interlocutori che al di là dai colori politici si misurano sul merito. Ci siederemo al tavolo e valuteremo il meglio per i cittadini. Ma disturba molto che l’esecutivo strombazzi un suo progetto fatto con i soldi nostri e non abbia fatto lo sforzo di consultarci prima».

Il condono universale di Vezio De Lucia

È il condono universale. Universale e senza oblazione. Anzi, con la gratitudine del governo. È scattato subito il no delle regioni di centro sinistra e immediata è stata la protesta degli ambientalisti. Ma si apre uno scontro difficilissimo, irto di insidie, perché il provvedimento berlusconiano solletica gli egoismi più profondi e popolari, radicati in tanta parte del nostro Paese, in particolare nel Mezzogiorno. Quegli stessi egoismi che nei decenni trascorsi indussero ad affossare ogni tentativo di riforma urbanistica e che nel mese scorso hanno determinato la sconfitta di Renato Soru. E torna in vita quel vasto consenso popolare che ha favorito tre leggi di condono in diciotto anni (governo Craxi nel 1985, governi Berlusconi nel 1994 e nel 2003). Non è certo un caso se la Sardegna è stata la prima regione a plaudire. Insieme al Veneto, alla Lombardia, alla Sicilia, all’Abruzzo, e all’associazione dei costruttori, che non perde occasione per schierarsi dalla parte della speculazione edilizia. Le conseguenze, se la proposta fosse approvata così come annunciata, sarebbero inaudite, potrebbero ammontare a decine di milioni le nuove stanze consentite dalla legge, annientando quanto resta del paesaggio italiano, sempre meno tutelato, grazie anche alle recenti misure di smantellamento del ministero dei Beni culturali. Per non dire del favore alla malavita che nell’edilizia spontanea e illegale ha sempre sguazzato. Mi auguro che nei prossimi giorni si riesca a organizzare una contestazione efficace e produttiva, ma soprattutto mi auguro che questa sia l’occasione per mettere mano a una severa riflessione autocritica da parte della politica e della cultura di centro sinistra che non sono mai state davvero capaci di contrastare con determinazione politiche di deregolamentazione selvaggia come quest’ultima sull’edilizia. In controtendenza rispetto al meglio dell’Europa.

Manifesto – 8.3.09

Le mani sulla città - Edoardo Salzano

Scatenare gli «spiriti animali» della speculazione edilizia più forsennata e rozza per dare uno choc all'economia, un colpo alla burocrazia e un volano enorme all'edilizia: questo, secondo le sue parole, il progetto di politica urbanistica dell'uomo che gli italiani, aiutati da una legge elettorale balorda, hanno scelto per governare. Si potranno aumentare del 20% le cubature di tutti gli edifici residenziali esistenti e della stessa quantità le aree coperte dagli edifici ad altra destinazione. Si potranno demolire e ricostruire, con il 30% in più, gli edifici costruiti prima del 1989. Tutto questo in deroga ai piani regolatori e ai pareri degli uffici: basta la certificazione di un tecnico. Siamo alla follia. Si cancellano non pochi decenni, ma alcuni secoli di tentativi di regolare un mercato (quello dell'utilizzazione del suolo a fini urbani) che, lasciato alla spontaneità, stava distruggendo le città e rendendone invivibili le condizioni per gli abitanti e le attività. La regolamentazione del territorio nell'interesse collettivo non nasce nei paesi del socialismo reale, e neppure in quelli del welfare state, ma agli albori del XIX secolo nei paesi del capitalismo maturo. Arrivò più tardi nei paesi in cui le debolezza dell'imprenditoria moderna lasciava ampio spazio alla rendita, come l'Italia. Qui la regolamentazione urbanistica venne introdotta, nell'epoca fascista, dopo un conflitto che vide, all'interno di quel mondo, la vittoria delle forze del profitto su quelle della rendita: fu nel 1942, quando la legge del fascista Gorla fu approvata contro le resistenze dei difensori del privilegio indiscriminato della proprietà privata. Aumentare le cubature e le superfici delle costruzioni esistenti in deroga a piani (per di più già spesso sovradimensionati) significa compromettere tutte le condizioni della vivibilità: peggiorare le condizioni del traffico, il carico delle reti dell'acqua e delle fogne, ridurre l'efficienza delle scuole, del verde, dei servizi sociali, peggiorare le condizioni dell'aria e dell'acqua, ridurre gli spazi pubblici, rendere più difficile la convivenza. Significa privilegiare, nell'economia, le componenti parassitarie rappresentate dalla speculazione immobiliare rispetto a quelle della ricerca, dell'innovazione dei sistemi produttivi, dell'utilizzazione delle risorse peculiari della nostra terra. Non dimentichiamo che scatenare l'attività edilizia indiscriminata provocherà la distruzione di paesaggi, di beni artistici e culturali, di testimonianze storiche e di bellezza: insomma, di tutte le componenti del patrimonio comune, già così debolmente tutelati nel nostro paese. Non è un caso che uno dei presidenti regionali che darà il via al provvedimento è quel Cappellacci, viceré della Sardegna in nome di Berlusconi, cui lo champagne di festeggiamento del trionfo elettorale fu offerto da quel tale che aspetta di costruire 300mila mc sulla necropoli punica di Tuvixeddu-Tuvumannu. E riflettiamo sul fatto che affidare le decisioni delle demolizioni e ricostruzioni e degli ampliamenti edilizi al parere tecnico di professionisti pagati dagli stessi operatori immobiliari interessati significa sottrarre ogni decisione non a una parassitaria burocrazia, ma ai pareri di qualificati funzionari pubblici e alla possibilità dei cittadini di concorrere, mediante le procedure della pianificazione urbanistica e l'intervento diretto di partecipazione, alle scelte di trasformazione dei territori sui quali vivono. Da quale palazzo o palazzetto della politica nascerà il segnale di una protesta che fermi la marcia verso la devastazione?

La deregulation punto per punto

Cubature in più. Possibilità di ampliamento degli edifici residenziali nel limite del 20% del volume esistente, e l'incremento sempre nello stesso limite della superficie coperta esistente di tutti gli altri edifici. L'ampliamento può essere fatto «in deroga ai regolamenti e ai piani regolatori». Abbattimenti. Opportunità per i proprietari di edifici realizzati prima del 1989 di adeguarne gli standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza, purché gli immobili non siano sottoposti a vincolo di conservazione. Può essere chiesto l'abbattimento e la successiva ricostruzione con un aumento della cubatura sino al 30% in caso di edifici residenziali o sino al 35% in caso di utilizzo di tecniche di bioedilizia e di energie rinnovabili. Gli edifici possono essere ricollocati anche in aree diverse, a patto che siano edificabili in base al piano regolatore. Fine delle autorizzazioni. Non sarà più necessaria l'autorizzazione a costruire, ma basterà una certificazione di conformità giurata da parte del progettista per avviare i lavori. Sconti fiscali. Il contributo di costruzione sarà ridotto del 20% in generale e del 60% se si tratta della prima casa del richiedente o di un suo parente entro il terzo grado. Sanzioni più leggere per gli abusi. In caso di abuso ci sarà una sanzione solo amministrativa per i casi più lievi. Si prevede anche un «ravvedimento operoso con conseguente diminuzione della pena e nei casi più lievi estinzione del reato». Il provvedimento dovrebbe anche contenere norme per semplificare le procedure riguardanti i permessi in materia ambientale e paesaggistica.

 

La rivolta delle regioni rosse - Cinzia Gubbini

ROMA - Non perde tempo il premier Silvio Berlusconi. Ieri le prime indiscrezioni sul «piano casa» a cui sta lavorando il governo e nel pomeriggio l'annuncio: «Lo porteremo al Consiglio dei ministri già venerdì», ha detto il Cavaliere passeggiando per le vie di Roma. Un contentino a chi attacca il piano sostenendo che siamo di fronte a una piena deregulation dell'ediliza: «Non ci saranno abusi». Un pensiero alle giovani coppie in veste di Berlusconi-papà: «Servirà a chi ha una casa e nel frattempo ha ampliato la famiglia la possibilità di aggiungere una, due stanze o dei bagni con servizi annessi alla villa esistente» (chiaramente chi la villa ce l'ha). Ma subito dopo promette affari d'oro ai veri destinatari del progetto, i costruttori: «Il piano avrà effetti straordinari sull'edilizia». Non c'è dubbio che la decisione di ampliare la possibilità di costruire sia una risposta alla polemica che nei giorni scorsi ha contrapposto il governo all'Associazione nazionale dei costruttori. Questi ultimi chiedevano che i soldi del Cipe non fossero utilizzati soltanto per opere faraoniche, ma anche per interventi più limitati che dessero fiato a un settore in crisi (nel quarto trimestre 2008 la produzione del comparto è scesa di 10 punti, dati Istat). Ma Berlusconi ha risposto picche, e ha destinato i 18 miliardi a un pacchetto di infrastrutture che prevede peraltro mega progetti come il Ponte sullo Stretto. Ma agli amici costruttori non si voltano le spalle. E così il premier fa sapere che l'esecutivo ha in mente di facilitare l'ampliamento di cubature residenziali e di velocizzare le procedure, saltando a piè pari gli uffici comunali e allargando le deroghe ai piani regolatori. L'Ance, infatti, plaude: «Ottima iniziativa». L'unico neo al piano furbetto pensato da Berlusconi sono le regioni. L'edilizia riguarda il governo del territorio e il governo non può imporre nuove regole senza contrattare. Non a caso il premier ne ha discusso in via preventiva con due regioni poliste: il Veneto- che discuterà il disegno di legge martedì - e la neo conquistata Sardegna. Ma le regioni del Pd già puntano i piedi. «Aspettiamo di vedere il progetto - commenta Damiano Stufara, assessore alla casa della regione Umbria e coordinatore degli assessori nella conferenza Stato-regioni - una riqualificazione degli edifici esistenti è fondamentale, ma se dobbiamo dare come contentino ai costruttori la possibilità di consumare ulteriore territorio allora non ci siamo. Ovviamente parlo in veste di assessore umbro, visto che questo piano non è stato ancora presentato in conferenza, ma da lì dovrà passare per forza». «Preoccupazione», esprime in una nota anche il presidente della regione Toscana Vasco Errani: «Un conto è costruire percorsi corretti di semplificazione delle regole, un conto è destrutturare le forme di governo sull'edilizia». «D'accordo con la necessità di rilanciare l'edilizia - dice il governatore della Liguria, Claudio Burlando - ma si dovrebbe partire da quella pubblica, e non dimenticare che questo è il paese dell'abuso edilizio». Anche Agazio Loiero, presidente della Calabria, dice di voler «attendere di leggere i dettagli del piano». Ma non condivide «la volontà di cambiare le regole, perché l'oltraggio al territorio ha costi sociali altissimi». Chi non vuole aspettare di leggere un bel niente, e ha già capito dove va a parare il piano, sono le associazioni ambientaliste: «Non è certo questa la ricetta per rilanciare l'economia e fare dell'edilizia il motore di uno sviluppo economico che sa cogliere le sfide dell'innovazione - commenta Edoardo Zanchini, di Legambiente - Pensare di premiare con il 20-30% di aumento di cubatura interventi che verrebbero realizzati in deroga a Piani urbanistici e regolamenti edilizi significa rendere più brutte e invivibili le città italiane e premiare gli speculatori». «E' assurdo che mentre nel mondo occidentale per affrontare la crisi si pensa di ridare potere al pubblico, perché il privato ha fallito, in Italia si faccia esattamente il contrario», dice l'urbanista Paolo Berdini. «Una sola domanda: ma le nostre città, che già dalla metà degli anni '90 sono in mano ai privati grazie agli Accordi di programma, sono diventate più belle? La risposta è sotto gli occhi di tutti. No, sono più brutte e invivibili».

Il Ponte virtuale e il business reale - Tonino Perna

Ancora il Ponte sullo Stretto di Messina. Sembrava una partita chiusa definitivamente tre anni fa quando Sandro Bianchi, ministro dei trasporti del governo Prodi, appena nominato dichiarò: il Ponte non si deve fare, ed i soldi vanno recuperati per creare le infrastrutture che mancano in Calabria e Sicilia, a partire dalla rete ferroviaria . Ed invece ci risiamo, a dispetto di quello che dicono da anni i geologi: lo scostamento crescente della costa calabra da quella sicula; i sismologi: il Ponte è stato progettato per reggere una scossa del 7,2 gradi scale Richter, e se arrivare una scossa di maggiore intensità? gli economisti : non si conosce ancora il costo reale del Ponte in quanto non abbiamo ancora un progetto esecutivo e definitivo. E poi , come è noto, c'è la grande questione dell'impatto ambientale che è stata denunciata da tempo da studiosi ed esperti del calibro di Alberto Riparo (Univ. di Firenze ) e Osvaldo Pieroni (Univ. della Calabria). Un impatto che spesso l'opinione pubblica nazionale e i non addetti ai lavori non percepiscono perché nei media l'immagine che viene proposta è quello del Ponte come una protesi che unisce Calabria e Sicilia, come fosse un pezzo di acciaio che, unendo le due parti, quasi risana una frattura scomposta. Purtroppo anche nel Manifesto di ieri, nella pagina 6 dedicata a questo megaprogetto, viene presentata una foto, ipotetica simulazione dell'effetto ponte, che crea un falso immaginario collettivo. La vera immagine del Ponte è quella riprodotta da un gruppo di architetti e ingegneri dieci anni fa in cui si vedevano bene le bretelle, gli ottovolanti, e tutte le infrastrutture che sono assolutamente necessarie per collegare l'esistente al Ponte. Dal punto di vista ambientale ed estetico, la vera questione è: come ci si arriva al Ponte? I binari della Ferrovia, che scorrono lungo il mare, dovranno essere portati a 80 m. di altezza per far passare i treni sul Ponte. E siccome i treni non si sollevano in pochi metri, bisognerà costruire grandi infrastrutture di collegamento partendo da diversi chilometri prima del passaggio sul Ponte. Lo stesso dicasi per l'autostrada che nel tratto siciliano scorre ad un distanza di più di dieci chilometri dal sito del Ponte. E' un impatto talmente disastroso che ha indotto le popolazioni locali, quando ne hanno preso coscienza, a schierarsi contro questo mostro. Una colata di cemento inimmaginabile che sommergerebbe uno dei paesaggi più belli e ricchi di storia del Mediterraneo: lo specchio di terra e mare tra Scilla e Cariddi. Anche sul piano occupazionale l'operazione-ponte è una fregatura. Innanzitutto perché il dramma della disoccupazione nell'area dello Stretto colpisce essenzialmente i giovani laureati e diplomati che non potranno essere utilizzati in questa megaopera. In secondo luogo perché a regime il Ponte impiegherebbe meno della metà degli addetti al trasporto via nave che verrebbero mandati a casa. Ed allora a che serve? Serve, eccome, per distribuire intanto un bel po' di quattrini per la progettazione esecutiva e definitiva ai soliti noti, quelli della cordata Cai per intenderci. Questo è il ponte reale, il sistema di alleanze d'acciaio che il sistema Berlusconi ha creato in questo paese e che va ben al di là del Ponte. E' la scelta di fondo delle Grandi Opere, come misura anticongiunturale per affrontare la crisi, che suona come una beffa rispetto alle attuali urgenze del mercato del lavoro. Peccato che nessuno si accorga che non siamo più negli anni '30, e i lavori pubblici non possono più dare una risposta alla qualità e profondità della Crisi Globale che stiamo vivendo.

Liberazione  8 marzo ‘09

«Metropoli inestetiche, periferie anonime, perché costruire ancora?» - Tonino Bucci

C'erano una volta il Belpaese, le sue città rinascimentali e barocche. Da almeno dieci anni a questa parte l'Italia è stata cementificata, i suoi territori dissestati, e metropoli circondate da quartieri senza anima. Si dice che siamo un popolo di proprietari di casa, eppure il governo Berlusconi sta varando in nome dell'emergenza abitazione un piano straordinario per l'edilizia, una sorta di megacondono senza precedenti, un lasciapassare per ampliare gli alloggi, per demolire e ricostruire indiscriminatamente con una semplice dichiarazione. Ne parliamo con Paolo Berdini, docente di urbanistica. Ma esiste davvero l'emergenza casa? No. Non è vero. C'è stata di recente a Roma un'assemblea di tutti i comitati per la casa. Faremo una battaglia per il riutilizzo degli edifici pubblici - non degli immobili di proprietari privati. Negli ultimi quindici anni di liberismo galoppante abbiamo venduto molti gioielli di famiglia regalandoli per pochi soldi alle grandi immobiliari, da Tronchetti Provera a Gabetti e compagnia bella. Proponiamo che gli edifici in via di dismissione o abbandonati, come le scuole in quartieri ormai senza bambini, vengano ristrutturati ad abitazione. A Roma trenta-quarantamila famiglie sono in cerca di alloggio. Questa potrebbe essere la soluzione. Ma vale anche per il resto dell'Italia. Non esiste fabbisogno di nuovi alloggi. Tra l'altro in questi ultimi quindici anni si è costruito a ritmi inauditi senza risolvere il problema. Gli strati sociali più bassi non hanno accesso al bene casa. Non c'è stata un'edilizia pubblica in concorrenza con quella privata. Il valore di mercato delle case è schizzato verso l'alto. Non è così? E' stata tutta edilizia privata. Da altre parti la bolla immobiliare è scoppiata. Qui in Italia no. Uno Stato liberale dovrebbe costruire le case per chi non ha reddito. Oggi però non serve costruire nuove abitazioni, è sufficiente recuperare i beni pubblici. E per chi dice che non ci sono i soldi sarebbe sufficiente che guardasse oltreoceano quel che sta facendo Obama a sostegno dell'economia. Altro che recupero degli edifici pubblici. Il ministro Matteoli ha detto che bisogna aumentare le cubature delle case così che le giovani coppie possano costruirsi una stanza in più nell'alloggio dei genitori. Ognuno s'arrangi da sé... Così non risolvo il problema della casa, faccio solo aumentare di un pezzetto il reddito delle famiglie in difficoltà facendogli ampliare la casa. Secondo, così distruggono il volto delle città lasciando libertà di demolire e ricostruire in modo indiscriminato. L'edilizia non è solo un pezzo dell'economia. Il modo in cui costruiamo incide sulla qualità di vita e soprattutto sulla qualità delle relazioni sociali. Non c'è un'urgenza estetica delle nostre città? L'Italia ci è cambiata sotto gli occhi. E' vero che, per fortuna, non ci sono riusciti del tutto. Gli strumenti urbanistici tutto sommato hanno tenuto. Però il dissesto c'è stato. Per fare un esempio, i quartieri nuovi che sorgevano nelle città ottocentesche in espansione erano piccoli gioielli abitativi. Erano case a bassa densità, pensiamo a Modena o a Parma. Agli inizi del '900 costruivano villini o palazzine a tre piani che erano gioielli di periferia accessibili anche ai redditi medio-bassi. Se passa questo piano sciagurato per l'edilizia di Berlusconi, chi ha i soldi si costruisce un piano in più, chi non ce li ha si arrangia. Sarebbe devastante per la bellezza delle città. Ma a questa classe dirigente della bellezza non importa niente. C'è invece un bisogno di qualità sociale della vita che la sinistra dovrebbe rappresentare. Nelle periferie nascono quartieri anonimi senza servizi, senza collegamenti, senza legami comunitari. E' un caso, poi, che questi territori diventano serbatoio della paura e dell'odio per gli immigrati? Chi vive male non è più vulnerabile alla propaganda della sicurezza? Verissimo. In questi anni hanno dato il via alla più dissennata costruzione di superfici commerciali che ci sia stata in Europa. In Italia non c'è regolamentazione, si può fare tutto. Con i grandi centri commerciali sono scomparsi quei piccoli negozi che garantivano un sistema minimo di relazioni sociali nei quartieri. Hanno il deserto nelle nostre città. Non solo, con questo piano vogliono aumentare del venti per cento la superficie commerciale. Migliaia e migliaia di metri cubi di cemento in più, un affare per le grandi catene distributive. Senza contare che nel sud - e non solo - sarà un'occasione per la malavita organizzata.