Le prime frammentarie notizie che oggi pervengono dal Friuli Venezia Giulia (la regione, non a caso distante, scelta a fare da cavia per la sperimentazione del nuovo modello organizzativo partorito dai vertici della nostra amministrazione) sono tutt’altro che rassicuranti. E siamo soltanto alle avvisaglie.
Già 18 mesi or sono per la verità (eravamo nel mese di luglio 2015), il FVG era stato chiamato di colpo ad occuparsi del monitoraggio della spesa rivelatosi poi semplicemente come una serie infinita di tagli alle spese considerate superflue, dal restringimento degli spazi negli uffici alla chiusura dei bar aziendali interni.
Un palese intento vessatorio nei confronti del personale per recuperare briciole di produttività raschiando il fondo del barile. Con l’obiettivo peraltro raggiunto.
Da circa tre mesi a questa parte le “motivazioni” alla base del nuovo modello di servizio, che il prossimo anno si vorrebbe esportare in altre quattro disgraziate regioni, risultano inalterate: “La riorganizzazione è indispensabile” – “Siamo ad una svolta e non bisogna avere paura delle novità” – “Un’occasione questa da prendere al volo” – “O si cambia o si muore”. Insomma, la solita becera litania.
Ma la vera sfacciataggine con tutto quello che stiamo vivendo quotidianamente sulla nostra pelle consiste nella pretesa consulenza proattiva, nel senso che dal 2017 saremo tutti chiamati ad intercettare e anticipare le richieste dei cittadini, attraverso la cosiddetta “profilazione degli utenti” suddivisi in gruppi omogenei di comportamento come se non avessimo altro da fare che anticipare consulenze. L’esempio neppure tanto malcelato resta quello del colosso americano dai piedi d’argilla Amazon, la più grande azienda di commercio elettronico statunitense, alla perenne e stressante ricerca di soddisfare i desideri più nascosti dei clienti.
Con il risultato, certamente non casuale, che quello che prima si paventava come un rischio si può trasformare adesso nella certezza della privatizzazione di ulteriori attività perché appare del tutto evidente, alla chiusura della standardizzazione, che i servizi richiesti potranno essere svolti e definiti anche da soggetti privati.
La gravità di questo nuovo azzardo non è solo data dall’esiguità delle risorse a disposizione, se si considera l’organico sempre più deficitario, ma anche e forse soprattutto dal tentativo di eludere i reali problemi che attanagliano l’Istituto: dal mancato pagamento delle pensioni pubbliche alla pressione derivante dalla mole indescrivibile di richieste inerenti le PSR, fino alle invalidità civili sospese.
Come sia possibile preoccuparsi con fantomatici neologismi di ipotesi legate ad una chimerica proattività bypassando la realtà rimane francamente un mistero, mentre è facile prevedere l’ennesimo salto nel buio in nome del cambiamento.
Nelle intenzioni del presidente c’è naturalmente quella di premiare le strutture che si metteranno maggiormente a disposizione, con l’ordinario coinvolgimento delle OOSS di cui si chiede la collaborazione per fare da classica cinghia di trasmissione nel promuovere consulenze da anteporre alla prioritaria erogazione dei servizi.
Con buona approssimazione tutto quello che più o meno fantasiosamente poi verrà realizzato (ammesso che ci si riesca) risponderà giusto alla necessità di inventarsi comunque qualcosa con l’organico attuale.
Restano naturalmente inevase le domande di sempre, che il personale del FVG legittimamente si è posto ed ha inutilmente trasmesso alla direzione regionale: siamo cioè sicuri di prendere entrambi gli incentivi nel caso in cui questa nuova sperimentazione creasse, cosa pressoché inevitabile, problemi alla produzione? E come si pensa di collocare i dipendenti appartenenti alle aree A e B in questo nuovo ginepraio? Quali vantaggi sono apportati in concreto a livello regionale? Domande come si può ben vedere semplici e proprio per questo estremamente pericolose. Ammesso che l’uomo solo al comando abbia interesse a rispondere.