+12.5 percento l'aumento delle spese militari nel nostro paese nel biennio 2023 e 2024. Il soggetto di queste scelte è lo Stato, lo stesso che si mutila della sua funzione sociale, che regala la sanità ai privati, che non ha in mente politiche economiche e sociali rivolte ai lavoratori e alle classi più in difficoltà.
Nel contempo gli aumenti salariali previsti per i rinnovi contrattuali sia privati che pubblici sono ben al di sotto, certificando una consistente perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni, rispetto al vertiginoso aumento dei prezzi. Mentre la folle corsa agli armamenti non conosce tregua, il raffronto tra questi dati rappresenta e fotografa le caratteristiche di quell'economia di guerra che oggi assume la forma di una vera e propria guerra ai salari.
Alle compatibilità che da decenni subiamo per effetto dell'osservanza ai diktat imposti dall'Ue, oggi si aggiungono le compatibilità dettate dal coinvolgimento politico e militare del nostro paese nei vari scenari di guerra, dall'Ucraina, alla missione Aspides, all'appoggio al genocidio che si sta compiendo nei confronti del popolo palestinese, ormai riconosciuto anche dagli organismi internazionali.
Nel frattempo gli orari di lavoro aumentano e un sistema integralmente fondato sul profitto mangia il nostro tempo di vita oltre che i nostri salari, attraverso un aumento dell'orario di lavoro che
ha reso il nostro Paese uno di quelli dove si lavora di più e si guadagna di meno.
A ciò si aggiunga quella vera e propria strage di morti sul lavoro che si consuma tragicamente ogni giorno.
A chi ci chiede adesione ideologica alla barbarie della guerra e resa incondizionata sul fronte dei salari e dei diritti, rispondiamo ribaltando lo schema e avviando una stagione contrattuale incompatibile con la logica della guerra.
Salario minimo di almeno 10 euro sui minimi tabellari e indicizzato al costo della vita,
300 euro netti mensili di recupero in busta paga, aumenti contrattuali veri e un sistema di adeguamento delle retribuzioni all'inflazione, riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario (una settimana lavorativa articolata in 4 giorni settimanali con un orario giornaliero non superiore alle 7 ore e mezza) e introduzione del reato di omicidio sul lavoro nel nostro ordinamento giuridico, costituiscono le nostre rivendicazioni per ribaltare lo schema di rinnovi contrattuali a perdere.
Sul fronte del diritto alla casa occorre introdurre un sistema di controllo degli affitti e almeno un milione di case popolari come effetto di calmierazione del mercato privato.
Con questi contenuti, emersi chiaramente durante una partecipatissima assemblea che si è tenuta il 16 maggio, Usb parteciperà alla manifestazione indetta da un variegato fronte sindacale, politico e studentesco contro il governo Meloni e le sue politiche guerrafondaie e antisociali. È necessario lottare per il cambiamento.
1° giugno ore 14.30 corteo P.zza Vittorio.