L’esplosione dei conflitti nei vari quadranti del mondo e il coinvolgimento politico militare del nostro paese nei vari scenari bellici (con il beneplacito di quasi tutto l’arco parlamentare) non indica soltanto la natura barbara e guerrafondaia del governo, ma produce anche effetti devastanti sul piano economico e sociale.
Il dirottamento di risorse sempre più ingenti per finanziare guerre e la conseguente impennata delle spese militari delineano una vera e propria economia di guerra della quale i lavoratori e le lavoratrici sono le vittime sacrificali. Ed è proprio all’interno di questa cornice e delle nuove compatibilità imposte dall’economia di guerra che si vorrebbe collocare la stagione dei rinnovi contrattuali che si sta aprendo sia nei settori pubblici che privati.
Oggi più che mai, quindi, la guerra che divampa nelle varie aree del mondo si declina sul fronte interno nella forma e nella dimensione della guerra ai salari: una guerra alle condizioni salariali, certo iniziata decenni fa, ma che oggi trae nuova linfa proprio dal clima bellico.
È questa la ragione per cui i due temi (il no alla guerra e la battaglia per il salario) sono legati in maniera inscindibile, ed è questa la ragione per cui oggi, più che mai, la stagione dei rinnovi contrattuali deve costituire una occasione di rottura con lo schema imposto dalle compatibilità subordinate alle logiche della guerra.
Alla politica dei bonus e delle mancette ( i 100 euro lordi tassabili su base familiare per i lavoratori dipendenti con reddito complessivo fino a 28.000 euro con coniuge non separato e almeno un figlio a carico costituiscono solo l’ultima provocatoria trovata in ordine di tempo ), alla miseria delle risorse stanziate per i rinnovi contrattuali pubblici così come alle indecenti proposte delle associazioni datoriali rispondiamo rivendicando 300 euro netti mensili in busta paga come recupero salariale, un aumento contrattuale commisurato alla crescita dei profitti e la reintroduzione di un sistema di aggancio reale dei salari al costo della vita. Ciò affinché i contratti tornino a segnare un elemento di avanzamento delle retribuzioni e non la fotografia e la certificazione di una condizione di miseria salariale.
Alle politiche e a quella complicità sindacale che hanno costruito una sacca di lavoro sottopagato e povero che interessa più di 5 milioni di lavoratori, con contratti sotto la soglia di povertà e part-time involontari, e a quelle condizioni di sfruttamento che interessano un alto numero di lavoratori migranti, regolari o irregolari, rispondiamo proponendo un salario minimo a 10 euro in paga base e la regolarizzazione di tutti i lavoratori migranti.
All’intensificazione dello sfruttamento che si manifesta anche attraverso un progressivo allungamento dell’orario di lavoro e che ha reso l’Italia uno dei paesi dove in media si lavora più ore, rispondiamo chiedendo la riduzione dello stesso a parità di salario, anche ipotizzando, sul modello di esperienze già presenti in altri paesi europei, l’introduzione della settimana lavorativa di 4 giorni.
Alla strage dei morti sul lavoro e alla complice passività del governo condita di proposte offensive ed inutili, rispondiamo chiedendo l’introduzione nel codice penale del reato di omicidio e lesioni gravissime sul lavoro che inchiodi la criminalità imprenditoriale alle proprie responsabilità, il rafforzamento della figura degli RLS, la modifica radicale del sistema degli appalti e nuove norme contro la precarietà del lavoro.
Con questi contenuti e su questi temi l’USB convoca a Roma per il 16 maggio alle ore 10.30 presso la Biblioteca Nazionale (viale castro Pretorio 105), una grande assemblea dei delegati dalla quale dovrà emergere non solo la natura delle nostre proposte ma anche un percorso di lotta e mobilitazione che ribalti e rovesci lo schema guerrafondaio imposto dal governo.
Un primo appuntamento di quel percorso è la manifestazione contro il governo Meloni indetta per il 1° giugno da una convergenza di forze politiche, sociali, sindacali e studentesche, alle quali USB partecipa ponendo al centro il nesso esistente tra la partecipazione alla guerra e l'attacco al salario e alle nostre condizioni di lavoro.
Unione Sindacale di Base