«Mettiamo al centro il tema dell’inserimento abitativo per i migranti in Capitanata e molte cose si aggiusteranno». Così la pensa Aboubakar Soumahoro, 37 anni, italo-ivoriano per autodefinizione che guida la causa dei lavoratori del Ghetto di Rignano e degli altri ghetti dal coordinamento nazionale del sindacato autonomo Usb, l’Unione sindacale di base che ha aperto un filo diretto con i lavoratori dei ghetti costretti a vivere ammassati in alloggi di fortuna, in tende da campeggio, roulotte e baracche dell’immensa campagna foggiana pur di poter lavorare alla raccolta del pomodoro e degli ortaggi. Ieri la festa della “Solidarietà e della fratellanza” nell’area di Rignano scalo è stata voluta nel giorno che i musulmani dedicano al “Sacrificio”. Non si ricordano di feste simili in Capitanata anche se gli organizzatori (tra questi proprio l’USB) non hanno voluto attribuire alcuna connotazione etnica o religiosa all’evento. «Abbiamo voluto questo momento perchè la cosa più importante è stare insieme - dice Aboubakar, per tutti Abou - dobbiamo restituire dignità alle persone e il percorso di tutela che vogliamo portare avanti, anche con la collaborazione con la Regione, è proprio questo». La festa per discutere e approfondire la complessa tematica dei migranti può diventare l’occasione che mancava per avvicinare i popoli. Abou dice cose concrete, è un personaggio nuovo nel frastagliato panorama dei mediatori culturali presenti in questo mondo. Si è laureato in sociologia del lavoro, parla bene l’italiano, conosce perfettamente il territorio e vive da quindici anni quasi stabilmente la realtà del Gran Ghetto anche se i suoi impegni sindacali lo portano spesso in viaggio. Lo abbiamo intervistato.
Abou aver organizzato la festa proprio nel Gran ghetto, sgomberato a marzo dalla Regione, può essere presa come una provocazione.
«L’area sotto sequestro è intatta, non ci va nessuno. Anzi siamo noi a vigilare che nessuno modifichi nulla. Non c’è stata alcuna volontà di provocazione, ma solo l’esigenza di un punto di riferimento per vedersi e discutere. Il nostro sindacato, l’USB, è punto di riferimento in quasi tutti i ghetti d’Italia, abbiamo aperto anche uno sportello itinerante. Ma la narrazione che si è fatta in questi anni sul lavoro ai migranti va rivista: pomodoro, asparagi, angurie ci sarà pur qualcuno che li dovrà raccogliere. La gente viene qui perchè c’è il lavoro, ma non si può ancora accettare l’idea che poi vada a riposarsi nelle lamiere di una bidonville».
Voi avete lanciato la sfida alla Regione. In cosa consiste?
«Con gli assessori Di Gioia e Leo c’è un dialogo avanzato, hanno dimostrato di avere molta sensibilità nei nostri confronti. Ora noi chiediamo che ci aiutino a creare condizioni di vita più dignitose per i lavoratori dei campi, mettendo a disposizione unità abitative in prossimità dei luoghi di lavoro. Ci sentiamo come i coloni di una volta. E’ percorso da compiere insieme, ma questo non significa che la Regione dovrà tassare i cittadini per costruire gli alloggi».
Come si reperiscono allora le risorse finanziarie necessarie?
«I fondi strutturali prevedono misure contro la lotta alla povertà nelle zone rurali, per la Puglia stiamo parlando di oltre 1 miliardo di euro. Voglio ricordare che vitto e alloggio sono a carico del datore di lavoro, questo stabilisce il nuovo contratto provinciale di lavoro agricolo. Ma ciò non avviene: se ci sono persone oggi sfruttate vuol dire che il contratto non viene rispettato».
E la Regione a questo punto cosa dovrebbe fare?
«Le aziende ricevono buona parte dei finanziamenti europei, ma è la Regione che li eroga e dovrebbe farlo solo nei confronti di quelle aziende che rispettino i contratti di lavoro. Non esiste che io imprenditore debba riscuotere somme senza pormi il problema degli gli indici congruità della forza lavoro nelle campagne. Bisogna imparare a considerare i lavoratori della terra come persone. La qualità dell’agricoltura pugliese va misurata anche in base al lavoro etico che si svolge nelle campagne».
Con la Regione però ne avete appena cominciato a parlare.
«Dagli assessori all’Agricoltura e al Lavoro ci siamo recati (lo scorso 31 luglio: ndr) per denunciare il problema dell’acqua che ai lavoratori viene negata. Si è aperto un dialogo, loro dicono di condividere in toto questi temi e che saranno il nostro orizzonte rispetto a una serie di cose da fare. Ce lo auguriamo con tutto il cuore. Vogliamo anche smentire tutta una serie di dicerie e illazioni che si sono dette in questi anni sul conto dei braccianti che vivono nei ghetti. Stiamo parlando di 50 mila persone. Aprire le campagne significa oggi parlare di questi temi, siamo noi adesso a sfidare la Regione. Abbiamo chiesto l’apertura di tavolo permanente interistituzionale in cui verificare il raggiungimento degli obiettivi. Abbiamo trovato disponibilità a lavorare in questa direzione. L’Usb auspica un’alleanza fra braccianti e contadini che subiscono le imposizioni della Grande distribuzione organizzata. Perchè anche le imprese agricole oggi sono sfruttate proprio come i nostri ragazzi».
Sulla presenza dei caporali nei ghetti c’è bisogno però di uscire allo scoperto.
«Un momento: ci sono quelli che l’ex questore di Foggia chiamava taxi e i caporali. Se io vengo assunto in un’azienda di Rignano e vivo a borgo Mezzanone dovrò trovare pure il modo per arrivarci visto che il datore di lavoro non mi garantisce il trasporto. Si mette la benzina insieme e si va, senza che il proprietario dell’auto pretenda nulla in cambio. Questo non è caporalato. L’attività di intermediazione è invece tutta un’altra cosa ed è quello che noi stiamo contrastando con buoni risultati poichè moltissimi ragazzi del ghetto hanno il contratto di lavoro. Il percorso va fatto chiaro e limpido altrimenti non se ne esce».
Dalla Gazzetta del Mezzogiorno