L'assemblea organizzata a Livorno dal Coordinamento nazionale USB dei lavoratori portuali e dal CALP di Genova contro l'utilizzo dei porti per il transito delle navi da guerra ha inaugurato una discussione che non riguarda solo i lavoratori portuali. Il gesto coraggioso di rifiutarsi di collaborare con l'aggressione di Israele al popolo palestinese infatti ha diversi significati che meritano di essere sottolineati.
Innanzitutto c’è il richiamo allo spirito di pace del nostro Paese, sancito dall'articolo 11 della Costituzione ma anche dalla legge 185 del 1990, e la volontà di impedire che le nostre infrastrutture siano messe al servizio di politiche di guerra. In questo i portuali di Livorno e i loro fratelli di Genova stanno valorizzando una antica tradizione internazionalista del movimento dei lavoratori, provando a rilanciare con forza il movimento contro la guerra che da troppi anni in Italia è scomparso dalle piazze. Solo qualche settimana fa però, in occasione dei bombardamenti su Gaza, si è visto che il sentimento di solidarietà e sostegno al popolo palestinese è ancora molto ampio e diffuso, e questo significa che esiste uno spazio reale nel nostro Paese di organizzazione e di lotta attorno a questi temi.
Del resto, la lotta per impedire che i porti vengano aperti alle navi che trasportano armi è stata giustamente messa in relazione alla battaglia contro la loro chiusura ai migranti in cerca di approdo. Lo striscione che presenziava all’assemblea portava scritto “Porti chiusi alle armi e aperti ai migranti”, proprio per ribadire il forte nesso che c’è tra il sentimento di contrasto alle politiche di guerra e quello contro ogni forma di discriminazione razziale.
Ma nel rifiuto di aprire i porti alle operazioni di guerra c’è anche la giusta rivendicazione del diritto che appartiene a ogni lavoratore di poter decidere di cosa e per quale scopo si produce e si lavora. Oggi le imprese pretendono una piena sudditanza alle loro scelte e concepiscono il pensiero e la creatività dei lavoratori solo dentro la logica della massimizzazione del profitto. Nella protesta dei portuali c’è invece la riaffermazione del diritto a discutere delle finalità del lavoro. È il classico tema dell'alienazione, che in epoca di forti investimenti tecnologici sembra quasi una bestemmia, come se gli interessi della società coincidessero con quelli stabiliti dalle scelte dei padroni.
Infine, l'azione dei portuali rimanda alla potenzialità di cui dispongono i lavoratori inseriti nelle catene del valore. Bloccare la circolazione delle merci, o anche solo rallentarne la trasmissione, equivale a colpire il processo di valorizzazione del capitale e quindi a riconquistare ai lavoratori una forza che lo spezzettamento della catena di montaggio ha fortemente indebolito. Una forza realizzabile solo attraverso il collegamento tra diversi spezzoni di classe operaia e che potenzialmente può riunificare i lavoratori del settore primario e industriale con quelli della logistica fino a quelli della grande distribuzione.
Per questo dall’assemblea di Livorno sono state rilanciate almeno tre diverse iniziative. La prima è quella che mira a costruire un collegamento internazionale con i lavoratori portuali di tante parti del mondo in vista di una giornata internazionale di lotta contro le politiche di guerra. L’idea è quella di allargare e di dare continuità alla protesta, ben sapendo che viviamo un’epoca in cui le politiche di aggressione sono destinate ad incrementarsi a causa dell’accresciuta concorrenza economica internazionale. Il movimento dei lavoratori, e dei portuali in particolare, può rappresentare un punto di riferimento importante per un movimento contro la guerra e contro il razzismo molto più ampio, che sia capace di darsi un piano di azione stabile e ben coordinato.
La seconda è lo sciopero del 14 giugno di tutti i porti italiani contro le politiche di precarizzazione del lavoro che sono non soltanto una fonte di ricatto continuo ma penalizzano anche la sicurezza sul lavoro nelle attività portuali. Qui l’obiettivo è il rafforzamento del movimento sindacale indipendente nel settore e la protesta contro un sistema di lavoro che mette sempre più a repentaglio la sicurezza di chi lavora.
L'altra iniziativa è poi l’assemblea operaia di Bologna di sabato 19 giugno. Li tornerà al centro della discussione non solo l’identità della nuova classe operaia ma anche il tema degli strumenti di lotta per contrastare la ristrutturazione avviata con Industria 4.0 e proseguita ora con il PNRR che espropria i lavoratori dal decidere il proprio futuro ed aumenta lo sfruttamento.
Rifiuto della guerra e del razzismo, azione sindacale indipendente, riconquista del diritto a decidere del senso del proprio lavoro e costruzione di nuove modalità di lotta sono quindi i grandi messaggi che ci trasmette l'assemblea di Livorno. Un segnale di riscossa che parla a tutti e in particolare a un mondo crescente di giovani attivisti impegnati sul piano sociale e sindacale.