Al termine delle due giornate di celebrazione dei 120 anni dalla fondazione della Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai, che dal 1943 ha assunto la denominazione di Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, lo scorso venerdì 26 gennaio si è tenuta la prima “Giornata annuale di premiazione delle eccellenze”.
Una cerimonia in puro stile fantozziano, con il direttore generale che ha mostrato una piaggeria imbarazzante nel premiare il capo megagalattico dell’Istituto, mentre quest’ultimo si schermiva con ingannevole modestia. Accanto a loro il capo del personale, che ha svolto egregiamente il ruolo di gran cerimoniere, esibendo una profonda conoscenza di Topolino e del suo inventore Walt Disney, al quale ha attribuito due citazioni – “Non avrete mai ottimi rapporti con i clienti finché non avrete buoni rapporti con i dipendenti” e “Abbiamo bisogno di persone brave e non solo di brave persone” – in un riuscito e surreale contesto da supercàzzola, degna del conte Lello Mascetti. Per la verità solo la prima frase è di Disney, mentre la seconda è attribuita a Henry Ford, il magnate americano dell’auto.
Sarebbe tutto tragicamente comico, come ci ha insegnato Villaggio, se questi non facessero sul serio. Invece il direttore generale ha annunciato che la valutazione della performance individuale condizionerà i percorsi di carriera e l’amministrazione dovrà fornire maggiori chance ai lavoratori che si distinguono per particolari capacità, sottolineando che questo è il Gabriella pensiero. Per la verità gli stessi ragionamenti li faceva Brunetta nel 2009 con il suo D.Lgs. N. 150, confermati dal ministro Madia nel 2017 e, di recente, dal contratto collettivo nazionale di lavoro firmato da CGIL-CISL-UIL-CONFSAL, che prevede di assegnare solo ad una determinata quota di personale una maggiorazione del premio di produzione.
Si rischia di tornare agli anni ’70 e alle valutazioni individuali di tipo scolastico: scarso, sufficiente, buono, ottimo, mentre la storia dell’INPS degli ultimi trentacinque anni è caratterizzata da un’organizzazione sempre più orizzontale, con diffuse responsabilità ed elevate e generalizzate conoscenze professionali. Gli obiettivi di produzione sono stati finora collettivi, valutati su gruppi di lavoro e sui risultati dell’unità produttiva nel suo complesso. Un’organizzazione che ha dato risultati concreti ed ha posto l’INPS all’avanguardia tra le amministrazioni pubbliche.
Senza nulla togliere al valore professionale dei premiati, riteniamo che la scelta dell’amministrazione divida i lavoratori e non favorisca lo spirito di gruppo. Per giunta si è deciso di premiare solo titolari di posizione organizzativa, segnando un’ulteriore distanza con chi garantisce la produzione. Inutile nascondersi dietro ad un dito asserendo che i funzionari individuati sono stati chiamati in rappresentanza di uffici o di professionalità comuni sul piano nazionale, se poi si afferma che il riconoscimento delle eccellenze è utile per ottenere un maggiore compenso economico e più facilitati percorsi di carriera. Possibile che a nessuno sia venuto in mente di assegnare un riconoscimento, magari collettivo, alle lavoratrici e ai lavoratori delle aree A e B che ogni giorno vengono sfruttati dall’Istituto, subendo ritorsioni dai dirigenti se solo si azzardano a chiedere il riconoscimento del lavoro svolto? Una citazione, almeno una citazione e un ringraziamento: niente.
Dopo aver assistito al teatrino andato in onda lo scorso venerdì, con quale umore le lavoratrici e i lavoratori dell’Istituto dovrebbero oggi affrontare i tanti problemi dell’attività quotidiana: procedure informatiche che non funzionano; carichi di lavoro sempre più pesanti in conseguenza della scarsità di personale; rabbia dei cittadini utenti che si presentano allo sportello?
Speriamo che la politica spazzi via al più presto gli attuali vertici dell’INPS, perché non vorremmo ritrovarci a breve ad essere costretti a partecipare alle “Fantozziadi”, una sorta di olimpiadi per la ricerca delle eccellenze. Già ci immaginiamo il capo megagalattico dell’Istituto, circondato da un adorante stuolo di dirigenti, aggirarsi tra corpulenti impiegati in canotta e improbabili mise sportive, come un moderno Diogene alla ricerca delle eccellenze. Pensiamo con timore all’idea di essere catapultati in un torneo di tennis, magari in mezzo ad una fitta nebbia, come accade ai ragionieri Ugo Fantozzi e Renzo Filini. Sentiamo già le loro voci:
- Allora ragioniere che fa, batti?
- Ma, mi dà del tu?
- No, no, dicevo: batti lei?