Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

Comunicati generali Gli editoriali

La valle ferita. Cronaca di una resistenza


La cornice è straordinaria ed emozionante mentre ci avviciniamo ad Exilles. La giornata si annuncia splendida e l’incontro con il corteo con i sindaci in testa ci dà la prima misura di quanta gente si è mobilitata, migliaia di uomini e di donne, molti anche con bambini in braccio o in carrozzina, decisi ad esercitare la sovranità popolare su un territorio sottratto con la forza agli abitanti della valle.
La profonda ferita inferta con lo sgombero del presidio Notav e con l’insediamento di ingenti forze dell’ordine per garantire lo svolgimento dei lavori di scavo, ha prodotto una risposta superiore ad ogni aspettativa. Decine di migliaia di persone si sono mosse da Chiomonte, Giaglione, Ramatz ed Exilles, per fare l’unica cosa che c’era da fare: riprendersi l’area sottoposta a controllo militare e liberarsi di un esercito di invasione non gradito.

Le aspettative di chi ha provato per ore ad entrare nella zona militarizzata sono state frustrate da migliaia di lacrimogeni sparati ad un ritmo infernale su ogni cosa si muovesse, sui prati disseminati di bambini e bambine, nella boscaglia dove si sono dovuti rifugiare i manifestanti inseguiti da agenti in tenuta antisommossa, sulla strada nei pressi della centrale elettrica dove incessantemente migliaia di persone hanno percosso il guardrail, facendo vibrare per ore l’aria di un suono ritmato che accompagnava i tentativi di entrare nella zona rossa. Questo suono è stato il segnale di un’intera valle che non ha mai mollato le barricate e ha applaudito gli assalti, le irruzioni, i tentativi di tornare ad essere sovrani sul suolo di casa nostra.

Proprio qui sta il punto. La resistenza e la legittima difesa opposti ad un governo militare dell’area, sostenuto non solo da Maroni, Bossi e Matteoli, ma anche come direbbe Veltroni, da Bersani, Fassino, Casini, e dalle ambiguità dei verdi, di Vendola e Di Pietro, nascono fuori dai partiti e dalla logica della riduzione del danno. La sovranità sociale espressa con la mobilitazione di domenica e con le pratiche che l’hanno caratterizzata è distante anni luce dal modello di sviluppo che ci vogliono imporre governo e attuali opposizioni, che peraltro amministrano Torino e invocano l’esercito nella stessa maniera di Berlusconi.

Le migliaia di bandiere Notav hanno rappresentato la stessa simbologia di quelle del sì all’acqua pubblica, si è passati dall’azzurro al bianco, ma la sostanza è la stessa: contro la casta e i suoi interessi l’unica rottura possibile è quella dal basso.

Che se ne vadano tutti, con i loro eserciti di sostegno e con le proprie truppe d’invasione. Questo messaggio è risuonato forte e chiaro in valle ed è stato raccolto dal nord al sud del paese, comitati territoriali, movimenti sociali, sindacati di base, reti in lotta per la difesa dei beni comuni e contro il consumo di suolo, la precarietà diffusa autorganizzata e non. Migliaia di persone, soprattutto giovani, disposti a rischiare in prima persona pur di liberare la valle dal pericolo incombente di un’opera inutile e costosa, che deturperà un paesaggio delizioso e ucciderà le vocazioni economiche proprie del territorio.

La menzogna sostenuta dai numerosi assenti, compresa la Lega del “padroni a casa nostra”, non regge. Senza nemmeno essere iniziati i lavori il Tav è già costato solo di ordine pubblico, consulenze e perizie milioni di euro e siamo solo ai nastri di partenza. È evidente che questo è un sopruso per sostenere, al tempo della crisi, la rendita finanziaria e speculativa. Questo risulta vero per ogni grande opera, grande evento e grande piano, considerati la nuova frontiera del modello di sviluppo capitalista. La rivolta della Val di Susa appare come il rifiuto di questa idea che mette a profitto ogni centimetro di suolo sottraendolo alla legittima sovranità di chi lo abita. Le nostre esistenze e i nostri desideri non contano più nulla di fronte all’arroganza in divisa di un governo autoritario e violento.

La ferita subita dalla valle non può essere sopportata in silenzio. È giunto il momento che l’intero paese si sollevi per impedire un simile scempio dell’ambiente e della democrazia. L’opportunità offerta dalle mobilitazioni referendarie, dai Notav, dai movimenti per i beni comuni, deve divenire spazio pubblico dell’attivazione sociale indipendente, costituente di un’affermazione di sovranità popolare sul territorio nazionale.

Liberare la val di Susa per liberare tutte e tutti noi.