Pullman che da Taranto e Genova percorrono una distanza lunghissima, ore ed ore di viaggio con destinazione Roma, Piazza Esquilino. Li ad attendere degli assonnati lavoratori c’è la manifestazione indetta dai sindacati Confederali: corteo nelle vie del centro e comizio in Santi Apostoli. Un rimbalzo di voci che indicano come “già decisa” la convocazione dei sindacalisti confederali a Palazzo Chigi in un tavolo presieduto da sottosegretari. Nessun Ministro, ne la Presidente Meloni a cui a più riprese è stato richiesto direttamente un incontro.
È bastato un attimo, letteralmente, per far si che davanti all’ennesimo raggiro, i lavoratori rappresentati dall’Unione Sindacale di Base decidessero in quell’ultima pausa in autogrill, di tirar fuori le bandiere e riversarsi con rabbia sull’autostrada Roma-Napoli.
“Siamo stanchi” è questo ciò che si sente urlare in quella corsa furibonda verso le tre corsie dell’autostrada che si dirigono verso la capitale. La stanchezza però non è quella per il viaggio durato più di 7 ore: la stanchezza è rivolta alla sensazione di essere ancora una volta parte di quell’ingranaggio che alimenta la liturgia istituzionale. La parata dei lavoratori, un comizio accorato, un incontro già impacchettato, zero risultati.
Per tre decadi i lavoratori hanno subito un attacco senza precedenti a salario e diritti ed occupazione. I lavoratori di oggi non credono più nella politica semplicemente perché quest’ultima si è messa in combutta per ridurre al lumicino i rapporti di forza, il diritto alla rappresentanza. I lavoratori Ex-Ilva ci ricordano che la conflittualità supera le regole, le imposizioni, i teatrini.
L’autoritarismo espresso oggi dall’amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, oggi fa il paio con quello che esprime oggi il Governo Meloni quando in materia di lavoro comunica le sue decisioni sorvolando letteralmente la condizione di milioni di lavoratrici e di lavoratori. Ritorna qui quella stanchezza di non sentirsi partecipi su nulla, su nessuna decisione che li riguarda.
La nostra organizzazione dopo la recentissima assemblea nazionale dei delegati e delle delegate dell’industria, ha assunto la vertenza Ex-Ilva, oggi Acciaierie D’Italia (che ricomprende anche i lavoratori degli appalti e di Ilva in Amministrazione Straordinaria) come elemento centrale su cui andare ad affrontare il tema delle politiche industriali e del modello di sviluppo economico di questo paese. Se passa l’idea che dentro la siderurgia non si debba affrontare il quadro di intervento sui settori strategici dell’economia, non si debba affrontare il tema dell’ambiente e del mondo che lasciamo ai nostri figli, ci si sbaglia davvero di grosso.
Da qui sarebbe inaccettabile la riconsegna tout-court degli stabilimenti italiani nelle arroganti mani di Arcelor-Mittal, una multinazionale che fin qui ha disatteso tutti i suoi impegni, ha imposto un regime autoritario nelle fabbriche e che sta lentamente portando allo spegnimento gli impianti. Non c’è traccia del piano di rilancio, della transizione energetica ed ecologica: c’è solo una multinazionale che utilizza il nostro paese come un bancomat, mentre i territori vengono devastati e lasciati a raccogliere i cocci dell’occupazione, della cassa integrazione per migliaia di lavoratori e dello scempio su salute ed ambiente.
Le rivendicazioni di USB in merito alla vertenza Acciaierie D’Italia, Ex-Ilva rimangono le stesse da decenni. Il rilancio dello stabilimento non può esserci senza che ci sia una nazionalizzazione con il chiaro scopo di garantire l’occupazione e la transizione ecologica degli stabilimenti. Il settore dell’acciaio non può cadere nelle mani di soggetti che pensano solo al loro profitto e che non hanno la minima intenzione di impegnarsi nei confronti della collettività, dei lavoratori e dei territori.
Serve dire con chiarezza queste cose, per dare ulteriore senso a quel grido di rabbia e dolore che ha riempito l’aria odorante di smog sulla Roma -Napoli, un grido che sconfessa ampiamente chi sostiene che la classe operaia non esiste più.
La classe operaia è viva e vegeta e deve prendere consapevolezza di se stessa e della sua condizione. I lavoratori e le lavoratrici devono provare a guardare con lucidità il loro futuro e decidere se questo gli piace. E se la risposta è no, allora agire di conseguenza, agitando il conflitto senza paura dove non c’è più niente da perdere: un messaggio che speriamo dia ancora più coraggio a vertenze e crisi che oggi possono sembrare diverse, ma che hanno lo stesso filo conduttore.
Il respiro dell’operaio prima di balzare sull’asfalto autostradale è un respiro coraggioso che riempie i polmoni di dignità. L’operaio che diventa un consapevole agitatore del conflitto e una volta tanto padrone del proprio destino. Se così dev’essere così sia.
Quei lavoratori di Ex-Ilva si rivolgono al paese, perché nel loro gesto c’è la descrizione precisa di come oggi in Italia nessuno creda più nella politica di palazzo come strumento in grado di cambiare la propria condizione, il proprio futuro.
Allora la nuova politica diventa quella che si fa mentre si affronta un camion in mezzo alla Roma-Napoli in una lotta simbolo. Impugnando una bandiera non per conquistare un tavolo vuoto, ma per provare a cambiare il paese per davvero.
Unione Sindacale di Base