Pubblichiamo questo articolo dell’Huffington Post su Paul Robin Krugman un economista e saggista statunitense, professore di Economia e di Relazioni Internazionali all'Università di Princeton, ha vinto il premio Nobel per l'economia 2008 per la sua analisi degli andamenti commerciali e del posizionamento dell'attività economica in materia di geografia economica. La filosofia economica di Krugman può essere descritta come neo-keynesiana. Nel 2003, Krugman ha pubblicato una raccolta dei suoi articoli intitolata The Great Unraveling (uscito in Italia col titolo "La deriva americana"), nel quale sferrava un attacco deciso alla politica economica e alla politica estera di Bush. La sua tesi principale consisteva nella critica ai grossi disavanzi provocati dalla politica di taglio delle tasse, dall'incremento della spesa pubblica e dalle spese per la guerra in Iraq. L'ingrandimento del deficit e la politica fiscale squilibrata a vantaggio dei ricchi, a suo avviso, sarebbero stati insostenibili nel lungo periodo e avrebbe provocato una grave crisi economica. Forte la critica di Krugman alle politiche di austerità che hanno prodotto recessione e disoccupazione.
Articolo di Gianni Del Vecchio
KRUGMAN SMONTA I BOCCONI BOYS
Le politiche europee di austerity che hanno aggravato la crisi? In gran parte colpa dei "ragazzi della Bocconi", almeno dal punto di vista della teoria economica. Parola di Paul Krugman, economista americano e premio Nobel, che da anni sta portando avanti una battaglia contro l'idea che politiche restrittive possano portare alla fuoriuscita dalla recessione. La novità è che stavolta punta l'indice contro l'università milanese, fucina - a suo dire - di economisti rei di aver dato una errata base teorica alla Bce, ai governi e alle istituzione europee. Fa anche due nomi precisi: Alberto Alesina e Silvia Ardagna, entrambi partiti dalla Bocconi per poi passare ad Harvard.
Krugman ha appena scritto una recensione ragionata di tre libri per The New York Review of Book, in cui spiega come le politiche di austerity degli ultimi anni siano servite a poco o niente per creare crescita e occupazione. Uno dei tre volumi è quello di un accademico della Brown University, Mark Blyth, in cui si dice senza mezzi termini che a fare da cornice teorica al mantra del rigore dei conti pubblici è un paper del 2009 di due Bocconi boys, Alesina e Ardagna. I due economisti italiani infatti sostengono nello studio le virtù della cosiddetta "austerità espansiva": la riduzione della spesa pubblica porterebbe ad un aumento del Pil. Ciò sarebbe dovuto al fatto che la tenuta dei conti aumenterebbe la fiducia di mercati e investitori nel paese sotto austerity, e quindi di conseguenza provocherebbe un incremento degli investimenti e dei consumi. Una sorta di nonsenso assoluto per chi si è formato sui libri di Keynes, come Blyth e Krugman.
La cosa peggiore - secondo Blyth e Krugman - però non è tanto il paper in sé ma il fatto che sia stato presentato in pompa magna all'Ecofin nel 2010 e che nello stesso anno sia cominciato a circolare nei centri decisionali della Bce e della Commissione europea. Tanto che l'allora presidente della banca centrale, Jean-Claude Trichet, si affretta a dichiarare: "l'idea che le misure di austerità possa portare alla stagnazione è scorretta. In queste circostanze, tutto ciò che aiuta ad aumentare la fiducia dei nuclei familiari, delle aziende e degli investitori nella sostenibilità delle finanze pubbliche è un aspetto positivo per la crescita e la creazione dell'occupazione. Credo fermamente che le politiche che ispirino la fiducia aiuteranno e non danneggeranno la ripresa economica, perché la fiducia è il fattore chiave in questo momento".
Un'impostazione applicata nei fatti negli anni successivi e che, secondo Krugman, non ha portato da nessuna parte. Sicuramente non ha fatto uscire l'Europa dalla recessione e non ha portato crescita né nuovi posti di lavoro. E parte della responsabilità sarebbe sulle spalle di Alesina e Ardagna, assieme ad altri due economisti, autori di un altro studio molto famoso. In quel momento era infatti già uscito l'altro paper simbolo dell'austerità, scritto da Rogoff e Rheinardt, che aveva indicato nel 90% del Prodotto interno lordo la soglia massima di debito pubblico che un'economia avrebbe potuto sostenere. Insomma, una manovra a tenaglia da parte di due coppie di teorici dell'austerità di cui l'Europa e l'Italia stanno pagando ancora il prezzo, secondo il premio Nobel americano.