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dal Coordinamento Nazionale

PER IL BENE COMUNE

Nazionale,

 Sabato 17 maggio erano in piazza a manifestare  a Roma, insieme al sindacalismo di base, i vari movimenti  di resistenza e di lotta in difesa dei beni comuni e contro i processi di privatizzazione dei servizi pubblici (acqua, sanità, istruzione, assistenza, cultura, lavoro ecc.).

Queste  movimenti  diffusi un po’ ovunque in Italia, nonostante la difficoltà oggettiva a coordinarsi tra loro,  sono importanti  anche perché rappresentano un argine alla deriva autoritaria dello stato e dunque sono luoghi e  presidi di democrazia vera. Più infatti  lo stato travasa funzioni, beni e risorse di proprietà pubblica nella proprietà privata, più ciò che resta di pertinenza pubblica, quindi statale, diventa  uno strumento di ulteriore coercizione nei confronti dei cittadini, in primis dei precari, dei disoccupati e delle lavoratrici e lavoratori  a cui già sono state drasticamente ridotte le possibilità d’accesso ai servizi privatizzati.

Alla fine la funzione principale che resta allo stato è quella del controllo e della repressione dei conflitti sociali.

Quindi più il perimetro dell’intervento pubblico è limitato più aumentano i rischi per la democrazia.

Sono molti i poteri occulti e non occulti che da anni lavorano in questa direzione, cioè nella direzione di uno stato autoritario cavalcando spesso il  malcontento diffuso, ed è per questo che crediamo abbia sbagliato, anche se in buona fede, il direttore della DTL di Napoli a scrivere al Ministro  Poletti per chiedere la presenza delle forze armate  durante l’attività di vigilanza.

Non è un caso se la funzione ispettiva sia stata ridotta in un modo come un altro di fare cassa  obbligando gli addetti a grattare, in tempo di crisi, il fondo del barile - perché di questo si tratta quando si parla di “accessi brevi” e lotta al lavoro nero -  e, infatti,  i soggetti che hanno voluto questa trasformazione sono gli stessi soggetti che si sono adoperati  nel corso degli anni per la liberalizzazione del mercato del lavoro, la destrutturazione del diritto del lavoro, per l’affossamento dei contratti collettivi nazionali e la progressiva distruzione di tutte le conquiste di quella che una volta si chiamava classe operaia.

 

 

Anziché  mobilitarsi per chiedere al ministro del lavoro la difesa astratta dell’immagine  della categoria rovinata dai media, attraverso uno spot  della Pubblicità Progresso che li descriva come disciplinati soldatini pronti ad applicare le leggi e ad eseguire gli ordini, o  addirittura  chiedere la militarizzazione degli accessi ispettivi, sarebbe  stata  più consona una mobilitazione per ottenere  l’aumento di risorse finanziarie e  soprattutto umane destinate all’ispezione del lavoro, anche attraverso i fondi strutturali europei, e per l’applicazione di quanto stabilito dalla risoluzione del Parlamento Europeo approvata lo scorso 14 gennaio e quanto raccomandato dall’OIL  sull’efficacia delle ispezioni in Europa e sul rafforzamento del ruolo degli ispettori nazionali.  Perché, come è scritto, “ogni tentativo di limitare la portata delle ispezioni incide negativamente sulla salute e sicurezza e sui diritti dei dipendenti”.

In Italia si va nella direzione opposta, si fanno  accordi  e leggi perché  a livello aziendale  i datori di lavoro (meglio sarebbe chiamarli i “prenditori di lavoro”) possano  tranquillamente derogare sulle norme e sui contratti nazionali  mentre l’inasprimento delle sanzioni e la lotta alla illegalità si abbatte sui più piccoli e sui più deboli e così facendo   si mettono i lavoratori contro altri lavoratori, gli ispettori contro i piccoli imprenditori o i piccoli commercianti a conduzione familiare o, assai peggio, contro i migranti irregolari e non certo contro chi li sfrutta. Insomma in Italia si fa cassa e si sbandierano numeri e cifre senza contrastare davvero il sommerso, ivi incluso il finto lavoro autonomo di cui le grandi aziende fanno man bassa.

Se poi l’ispettore ci rimette la pelle, è già pronto il “coccodrillo” di rito, come avviene quando muoiono gli operai nei cantieri, nelle fabbriche, dentro le cisterne …  morti  perché non si volevano bene, come diceva la “pubblicità progresso” di qualche anno fa, per l’appunto.

Roma, 20 maggio 2014                     

USB/P.I. Coordinamento Nazionale Lavoro