Lunedì 9 febbraio alle 15 si apre con l'Agenzia delle Entrate un confronto che ha fra i punti all'ordine del giorno, il tema delle progressioni economiche.
Si torna così a parlare di una questione che per decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori dell'Agenzia rappresenta ancora una ferita aperta e dolorosa.
Si apre - anzi si riapre - un tavolo che la USB ha più volte chiesto, da ultimo il 9 gennaio scorso.
Cinque anni fa l'Agenzia propose e siglò con alcune organizzazioni sindacali (Cisl, Uil, Salfi, Flp) un accordo sulle progressioni economiche che USB non firmò per almeno due fondamentali motivi:
1. quell'accordo escludeva 2 lavoratori su 3 dalla progressione economica, pur impegnando le risorse di tutti i lavoratori;
2. il 10% delle progressioni economiche veniva deciso a tavolino dai direttori regionali, cui le organizzazioni sindacali affidavano un enorme potere discrezionale in fatto di valutazione individuale, roba che nemmeno il perfido ministro Brunetta si era sognato di fare.
USB aveva raccolto negli anni passati decine di migliaia di firme, senza le quali l'Agenzia e le altre organizzazioni sindacali non sarebbero state costrette a sedersi intorno a un tavolo per confrontarsi sulla nostra proposta, resa forte proprio dalla mobilitazione dei lavoratori.
Ma quella proposta, in quei termini, era per noi irricevibile e lo fu anche per le migliaia di lavoratori che la bocciarono con un referendum.
Allora, come oggi, il tema del riconoscimento della professionalità diffuse si risolveva per l'Agenzia e per le altre organizzazioni sindacali semplicemente con la moltiplicazione delle posizioni organizzative e degli incarichi di responsabilità. Posizioni e incarichi che negli anni sono aumentati ben oltre i limiti imposti dal contratto, finendo per gravare in modo insostenibile sui fondi desitinati a tutto il personale.
Poi, sempre nel 2010 arrivò il blocco dei contratti e delle retribuzioni individuali e per cinque lunghi anni l'amministrazione e le altre organizzazioni sindacali si sono nascoste dietro il dito del "non si può" mentre posizioni e incarichi continuavano a fioccare, ad aumentare, a pesare sui fondi di tutto il personale.
E mentre, va ricordato a tutti, la retribuzione di risultato dei dirigenti e degli incaricati cresceva proprio grazie al contributo di tutte le professionalità diffuse rimaste al palo, senza alcun riconoscimento giuridico ed economico.
Oggi la situazione è cambiata, la "norma cedolino", il dito dietro cui si nascondevano tutti, non c'è più e si può tornare a discutere di progressioni economiche, non certo per fare accademia sindacale ma per riprendere e concludere il percorso inziato cinque anni fa e riconoscere finalmente a tutte le lavoratrici e i lavoratori il diritto alla progressione economica.
In piena campagna RSU, leggiamo comunicati sindacali in cui qualcuno mette le mani avanti rispetto alla fattibilità di questa operazione che certamente è possibile solo se c'è la volontà politica di farla e qualcun altro si affanna a intestarsi una battaglia sindacale che USB conduce da anni in modo chiaro e coerente e non a mezzo comunicati stampa.
Una battaglia che pretende la coerenza di non aver mai firmato certi accordi e il coraggio di rimettere in discussione l'uso delle risorse fisse e ricorrenti per finanziare incarichi e posizioni organizzative che l'amministrazione può e deve remunerare con risorse proprie.
La battaglia per il diritto alla progressione economica va di pari passo con quella per la stabilizzazione salariale, per la modifica del Comma 165, tutti temi che USB solleva da tempo e su cui ha costruito insieme con i lavoratori decine e decine di iniziative di mobilitazione.
Vere.
Occorrerà fare delle scelte chiare e stavolta non ci sono alibi. Davanti al blocco delle retribuzioni che dura da cinque anni e chissà per quanto ancora, si può dare una risposta innanzitutto a chi, in questi anni non ha avuto nessun riconoscimento, nessuna stabilizzazione.