Dice l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica che trimestralmente ci segnala lo stato dei nostri portafogli, che questa volta la situazione è ancora più grave della già gravissima situazione precedente.
Secondo dati difficilmente contestabili, anche perché li abbiamo già verificati nelle nostre case e nelle nostre tasche, la capacità di acquisto delle famiglie è diminuita ulteriormente del 3,7%. L’altro ieri, intanto, ci veniva segnalato un aumento del “carrello della spesa” di quasi il 13%, e al contempo che anche il risparmio delle famiglie diminuiva sensibilmente, del 2%. Evidentemente chi aveva qualche soldo da parte lo ha dovuto utilizzare per fronteggiare i continui aumenti dei beni alimentari e delle bollette e la diminuzione di farvi fronte per le vie ordinarie.
Potremmo aggiungere molti altri indicatori, ad esempio l’impennata delle spese per curarsi dovuto al totale tracollo del servizio sanitario pubblico e alla necessità di rivolgersi al privato, o i mutui e i costi per gli affitti o mille altri grandi e piccoli aumenti che però gravano su salari e stipendi da terzo mondo.
Altre statistiche, note a tutti ma di cui nessuno si cura, ci dicono invece che nel nostro Paese i ricchi e gli straricchi sono sempre più ricchi e straricchi, e che contemporaneamente si consolida la maglia nera in Europa dei salari dei lavoratori italiani che, mentre in tutto il resto del continente aumentano e tengono il passo con l’inflazione, in Italia sono precipitati sotto il valore di trent’anni fa.
Ci si chiede come mai tutto questo avvenga nel Paese con i sindacati più forti d’Europa, con milioni e milioni di iscritti sulla carta, mentre in altri paesi come la Germania, la Francia, l’Inghilterra dove il peso numerico dei sindacati è molto al di sotto degli standard italiani, attraverso le lotte e gli scioperi si ottengono aumenti salariali che ultimamente viaggiano sul 7% medio, con punte anche del 10/12%.
Negli ultimi trent’anni, con i famigerati accordi di luglio del 1991 e del 1992, Cgil Cisl e Uil hanno sottoscritto non solo drastiche riduzioni del salario e delle tutele all’occupazione, ma hanno reso quegli accordi strutturali e duraturi, con la conseguenza, ad esempio, che nei contratti non ci sono più stati aumenti in busta paga da sommare al recupero dell’inflazione, già garantito dal meccanismo di adeguamento automatico dei salari, la scala mobile, attraverso cui il fattore lavoro si riappropriava di una parte della ricchezza che aveva contribuito a produrre. A garanzia della politica di totale cedimento alle richieste del padronato e della nascente Unione Europea, si introdusse la legge antisciopero più dura d’Europa per impedire che, con le lotte e gli scioperi, la classe lavoratrice potesse ribaltare la situazione, sconfessare le politiche di Cgil Cisl e Uil e non arrivare disarmati al confronto con le fameliche fauci del capitale.
Ci furono piazze tumultuose all’epoca, i comizi dei leader sindacali vennero impediti a suon di lancio di bulloni e scontri con i servizi d’ordine sindacali e con la polizia schierata a difendere i sindacalisti che, da burocrati, divennero veri e propri complici degli interessi delle controparti.
Oggi assistiamo con un po’ di vergogna a quanto accade nelle piazze francesi, greche, inglesi, tedesche, spagnole, portoghesi dove centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori incrociano le braccia e riempiono le strade per difendere i propri diritti e chiedere aumenti salariali e occupazione buona e stabile e spesso ottengono risultati consistenti.
C’è bisogno di tornare nelle piazze, di lottare e scioperare anche nel nostro Paese, di rimettere assieme quel movimento di classe imponente che ha attraversato l’Italia e l’ha cambiata profondamente nei decenni passati. C’è bisogno di fare i conti con la complicità dei sindacati gialli per tutti i danni che hanno prodotto con le loro scelte politiche di vero e proprio disarmo della capacità di incidere del movimento dei lavoratori.
Lo sciopero generale del 26 maggio proclamato da USB, e aperto a chiunque voglia praticarlo, vuole essere anche un nuovo segnale in tal senso, un segnale di ripresa della funzione emancipatrice delle lotte e dell’organizzazione sindacale di classe.
Unione Sindacale di Base