Lo smart working ai tempi della pandemia è stata la modalità con la quale il Governo ha deciso di mettere in sicurezza le Pubbliche Amministrazioni.
Pur a fronte di tale scelta necessitata e involontaria, lo smart working, che nelle sue intenzioni iniziali avrebbe dovuto realizzare modalità di conciliazione cura lavoro per chi ne facesse richiesta, è a tutti gli effetti considerato un privilegio non solo nell’opinione pubblica ma anche da parte delle stesse Amministrazioni, che hanno opposto una grande resistenza a questa modalità perché è un rapporto che sfugge al controllo da parte dei coordinatori e dei dirigenti, (“se non ti vedo vuol dire che non stai lavorando”).
L’Amministrazione è stata di fatto costretta, in alcuna casi anche minacciata penalmente da USB, a mettere al “riparo” tutti i lavoratori e le lavoratrici per un’emergenza sanitaria attivando lo smart working che però, per volere normativo ed esigenze di tempo tiranno, non è stato strutturato per come avrebbe dovuto.
Sono saltate le informative, sono saltati gli accordi individuali, sono saltate le verifiche preventive sulle strumentazioni informatiche, sono saltati i bilanciamenti necessari sulla quantificazione dei carichi di lavoro, le verifiche sulla sicurezza digitale. Emergenza è stata e sarà e come tale va inquadrata ma senza dimenticare la cronologia dei fatti e il contesto di riferimento. Ma come ci insegna la Storia molto di quello che si decide in stato di eccezione diventa permanente e poi non torna indietro.
Il lavoro agile è oggi un lavoro esclusivamente da casa dove spesso e volentieri gli strumenti di lavoro sono stati messi a disposizione direttamente dalle lavoratrici e dai lavoratori.
Quella che stiamo vivendo ora è solo una condizione di sopravvivenza all’emergenza e un adattamento al contingente tragico e non certo un privilegio.
Andiamolo, dunque, a vedere questo privilegio.
Un lavoro dove non esiste la socialità e la crescita, non sono previsti scambi tra colleghi, dove si passa dagli atti amministrativi al cottimo dei pezzi, dove siccome stai a casa devi produrre di più, dove incombe il tema del diritto alla disconnessione, non è ancora chiaro dove avviene una perenne atomizzazione della persona, dove a seconda delle condizioni personali avrai 50 metri quadri da suddividere con un familiare o un terrazzo vista mare e un computer libero o meno, dove il rischio professionale è dietro l’angolo, dove i tempi di lavoro sono in perenne commistione col tempo di vita, che può diventare una gabbia della produzione individuale.
Un lavoro verso il quale si nutre diffidenza e che a giudicare dalla piega che sta prendendo piede rischia di essere un sorvegliato speciale da parte della dirigenza che cosi facendo manifesta completa sfiducia nei confronti del lavoratore.
Questi sono i timori che USB ha e per i quali anche in Sicilia ha scritto alla Direzione Regionale e a tutte le DP della Sicilia.
In particolare:
- In relazione alle schede di valutazione sulle attività che stanno iniziando a girare USB ha ribadito che non deve essere la Lavoratrice o il Lavoratore a dover compilare la scheda indicando l’attività svolta;
- In relazione ai carichi di lavoro e ai sottesi e misteriosi tempi unitari medi di lavorazione, tirati fuori dal cilindro ma mai contrattati con le Organizzazioni Sindacali, USB ha chiesto di conoscere i criteri e i parametri con i quali tali assegnazioni siano avvenute;
- In relazione allo stato dell’arte delle abilitazioni USB ha sollecitato una risposta per avere un quadro completo delle stesse.
USB è profondamente convinta che la serenità lavorativa, il rapporto di fiducia e la trasparenza nei carichi di lavoro non possano mai e poi mai essere sacrificati sull’altare del distanziamento sociale.