In questo fine settimana è comparsa nelle piazze, finalmente, un’Italia diversa, combattiva, critica e non remissiva. Un’Italia che sembra cominciare a capire che è ora di darsi una scossa se vogliamo provare a cambiare il destino, da incubo, che ci stanno proponendo.
Hanno cominciato per primi gli studenti, contestando il blitz con il quale il governo ha trasformato il ddl sicurezza in un decreto legge. Poi venerdì sempre gli studenti di Osa e Cambiare Rotta hanno manifestato in tutta Italia assieme all’USB dell’università e della ricerca in sciopero contro le controriforme reazionarie del ministro Valditara. Sabato una grande folla ha risposto all’appello dei Cinque Stelle contro il riarmo, mentre una folta assemblea sindacale dell’USB metteva assieme, sempre a Roma, le rivendicazioni sindacali e sociali e il no alle politiche di riarmo della Ue, segnalando che non tutto il movimento sindacale ha deciso di rendersi complice delle scelte guerrafondaie. E, infine, domenica a Bologna una manifestazione combattiva ha contestato la replica in salsa emiliana della vergognosa mobilitazione di piazza del Popolo del 15 marzo.
Sono segnali importanti di un possibile risveglio. Segnali che la pretesa di convincere questo paese della ineluttabilità di un futuro di guerra e della necessità di destinare immense risorse agli armamenti non è affatto convincente e che la protesta potrebbe allargarsi di molto.
La questione vera che abbiamo davanti ora è: come trasformare questi segnali in un processo, come allargare la lotta a settori sempre più ampi della società?
E qui, per rispondere a questo quesito, torna in campo prepotentemente la questione sociale e sindacale. C’è un pezzo di società molto ampio che non partecipa più alla vita del paese, al punto da aver rinunciato persino al voto, che però è da tempo in condizioni di sofferenza. Questa parte è ancora per lo più passiva ma probabilmente sta maturando l’ennesima disillusione, quella che il governo Meloni potesse rappresentare un cambiamento vero della propria condizione di vita. Questa parte della società è rimasta finora indifferente alle proposte di mobilitazione, ha sofferto troppi tradimenti da non credere più in niente e in nessuno. Di fronte al drammatizzarsi della situazione e vedendo che una parte della società si rimette in moto potrebbe sentirsi spinta ad entrare in azione.
Tanta parte di questo mondo di cui stiamo parlando è fatta di lavoratori e lavoratrici. Pensiamo ai ferrovieri che hanno scioperato compatti per dieci volte e sono stati fregati per l’ennesima volta da Cgil, Cisl e Uil. Pensiamo agli autofferotranvieri. Pensiamo ai lavoratori della logistica. O a quelli degli appalti. O al mondo della metalmeccanica, dove intere fabbriche chiudono con il beneplacito delle grandi confederazioni.
Pensiamo alle lavoratrici e ai lavoratori pubblici al centro di una tornata di rinnovi contrattuali che, nell'unico comparto ove si ê siglato il contratto con una risicata maggioranza, ha registrato una perdita secca del 10 percento del potere d'acquisto dei salari, mentre ci si appresta a destinare una valanga di miliardi in spese per armamenti. Una tornata di rinnovi contrattuali all'insegna di quella politica della moderazione salariale alla quale le elezioni per il rinnovo delle RSU previste dal 14 al 16 aprile nel pubblico impiego possono assestare un duro colpo, premiando un sindacato come l'Usb da sempre in prima linea contro la concertazione e aprendo una nuova stagione di protagonismo anche nel settore pubblico.
Oggi che si sta manifestando in modo molto più chiaro che in passato il nesso tra riarmo da un lato e bassi salari e riduzione dei servizi pubblici dall’altro, è decisivo che i lavoratori trovino nuovi punti di riferimento organizzativi, quindi sindacali, per poter esprimere la loro rabbia. Per questo è stata molto importante la piazza dell’USB di sabato 5, perchè significa che c’è un soggetto in campo che può costruire il ponte tra movimento contro la guerra e movimento dei lavoratori.
Senza un’entrata in campo significativa e duratura del movimento dei lavoratori non c’è possibilità di invertire il corso degli eventi. Dovrebbe rendersene conto anche la politica, che più che pensare a costruire cartelli elettorali con soggetti che hanno abbondantemente dimostrato di essere complici dell’Europa del riarmo, dovrebbero invece pensare a come promuovere il rilancio della mobilitazione sociale.
A partire, per esempio, da come aiutare tutti quei lavoratori che vogliono disertare la guerra, cioè astenersi dal compiere azioni e svolgere mansioni di diretta complicità con il carico e lo scarico di armamenti, con il loro trasporto o direttamente coinvolte nella ricerca militare.
La partita per fermare la corsa al riarmo oggi non si gioca principalmente in Parlamento ma per strada, nelle piazze, sui posti di lavoro, nelle scuole. E lì che dobbiamo costruire la nuova resistenza e per farlo abbiamo bisogno di alleanze sociali molto più che di alleanze politiche.
Aderente
alla FSM