Era il 17 febbraio 1992 quando Mario Chiesa, presidente socialista del Pio Albergo Triulzio, fu colto in flagrante mentre intascava una tangente.
Era l’inizio dell’inchiesta del Tribunale di Milano passata agli annali come “Mani Pulite”, che sancì la fine della c.d. “Prima Repubblica” in nome del cambiamento dell’Italia piegata dal malaffare.
Sono trascorsi vent’anni da allora e non c’era sicuramente bisogno della Corte dei Conti per capire che, oggi, in Italia dilagano come e più di prima la corruzione e l’illegalità.
L’Italia è al 69esimo posto su 182 paesi nella classifica della corruzione davanti alla Grecia ed alla Bulgaria e, ogni anno, 60 miliardi di euro vanno in fumo fra mazzette e prebende.
Il tutto mentre l’Italia muore di crisi economica grazie ai diktat dell’Unione europea.
È difficile, o meglio insopportabile, conciliare questi dati con i provvedimenti di pura “macelleria sociale” messi in campo dall’attuale compagine governativa che, in un regime di sospensione della democrazia, continua incessantemente a garantire gli interessi economici dei propri mandanti: BCE, Fondo Internazionale Monetario e finanza internazionale.
È difficile, o meglio insopportabile, conciliare questi dati con la tanto declamata “sobrietà” in nome della quale:
- ci riducono il potere d'acquisto ed il valore reale di pensioni e salari;
- ci fanno pagare le tasse sulla prima casa dopo che ci costringono ad acquistarla perché ci sfrattano e perché non ci sono abitazioni in affitto, mentre non intendono nemmeno introdurre una patrimoniale a quel 10% di ricchi che possiedono il 50% della ricchezza del paese;
- ci aumentano l'IVA, l'Irpef locale, i ticket sanitari e le accise sulla benzina mentre l'inflazione è già al 3,5% ed erode le pensioni e i salari bloccati;
- ci allungano l'età pensionabile e riducono l’importo delle pensioni con il sistema contributivo, lasciando i giovani nel dramma della disoccupazione e della precarietà;
- ci preparano una riforma del mercato del lavoro, reso sempre più precario e senza alcun diritto garantito per nessuno, che trasformerà i lavoratori in mera merce di scambio da sacrificare alle esigenze del profitto e distruggerà definitivamente ogni sicurezza sociale e lavorativa in Italia.
Ed è altrettanto difficile apprendere dagli organi di stampa che, nella ragnatela sempre più fitta della corruzione nostrana, sia rimasto impigliato anche un delegato sindacale della CUB nonché consigliere comunale a Pomezia, eletto nelle liste del Pd, fermato dai carabinieri mentre intascava una bustarella di 2.500 euro da un’impresa di facchinaggio collegata alla ditta dove lo stesso svolgeva la propria “azione sindacale”.
Ci siamo già espressi sulla difficoltà di comprendere le reali motivazioni che hanno portato una parte della CUB a sottrarsi al processo di unificazione del sindacalismo di base, non capendo che in questo momento non è utile alle difficili battaglie del mondo del lavoro riproporre comitati e comitatini, o continuare a dividere i lavoratori, facendo il gioco delle controparti per salvaguardare interessi particolaristici.
Ferme restando tutte le tutele costituzionali del singolo individuo, che deve necessariamente essere considerato innocente fino a quando non verrà condannato con sentenza definitiva, è con profondo rammarico che siamo però costretti oggi a constatare quanto sia ormai netta la separazione tra la rappresentanza dei diritti e dei bisogni dei lavoratori e il ruolo di un certo sindacalismo di base, ormai residuale.
Forse qualcosa è cambiato. In peggio.