La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012 ha avuto il merito, se non altro, di accendere i riflettori su una materia tanto importante quanto ostica per moltissime lavoratrici e lavoratori. Il tanto auspicato rimborso del 2,5 per cento della nostra retribuzione, che doveva essere la diretta conseguenza dell'incostituzionalità del DL 78/2010 non arriverà, così come non arriverà nessuna sospensione di questa ritenuta che era appunto ingiustificata con il passaggio dal vecchio sistema di calcolo del TFS al nuovo sistema che non prevedeva alcuna ritenuta a carico del lavoratore.
Non ci saranno né rimborso né sospensione perché il governo Monti, con un decreto acrobatico ha di fatto riportato indietro le lancette della Legge, come se il DL 78/2010 non fosse mai esistito. Ha cioè pienamente ripristinato il vecchio sistema di calcolo del TFS, rilegittimando a posteriori tanto le trattenute a carico del lavoratore versate da gennaio 2011, tanto quelle future. Messo cioè di fronte alla scelta di rimborsare ai 2,5 milioni di lavoratori pubblici circa 3,6 miliardi di euro, oppure fare una ritirata strategica sul fronte dell'assalto alla nostra liquidazione ha scelto il male minore e ha fatto un passo indietro che di fatto rappresenta un possibile vantaggio futuro per chi vedrà calcolata la liquidazione con il sistema del TFS.
La mossa del governo Monti non risolve tuttavia una questione che la sentenza della Corte ha, dal nostro punto di vista, chiarito definitivamente e cioè che una ritenuta contributiva sulla retribuzione ha senso solo se è effettivamente agganciata a un calcolo che prevede la restituzione futura di quanto tolto mese dopo mese. Infatti, il decreto del governo Monti non affronta la questione che riguarda le lavoratrici e i lavoratori assunti dopo il 01/01/2001, nei cui confronti da sempre si applica il regime TFR, meno favorevole del TFS e per questa ragione depurato di una ulteriore ritenuta stipendiale a carico del lavoratore.
Tutto avrebbe un senso se nei confronti di queste colleghe e colleghi da sempre in regime di TFR non operasse alcuna ritenuta a loro carico. Tuttavia, nei confronti dei "neo assunti" opera sia il regime sfavorevole del TFR sia la ritenuta previdenziale del 2,5 per cento che però non va a favore della propria posizione contributiva ma finisce nel generico calderone della previdenza, a titolo di vero e proprio obolo.
Questa cosa la sanno bene le dirette e i diretti interessati e la sanno bene anche quelle organizzazioni sindacali che, sull'onda dell'entusiasmo per i rimborsi faraonici che ripetiamo non arriveranno, hanno proposto ai neo assunti di adire le vie legali per ottenere anche loro la restituzione del maltolto. La rivendicazione è legittima mentre è scandaloso che la proposta arrivi dagli stessi autori di quella che fu una vera e propria rapina a mano disarmata.
Infatti, quando partì il regime obbligatorio del TFR per i neo assunti, per evitare che la sospensione della ritenuta del 2,5 per cento desse luogo a un aumento stipendiale, fu previsto un prelievo di pari importo che non aveva alcun nesso con il nuovo sistema di calcolo. Ciò fu stabilito da un accordo sindacale siglato nell'estate del 1999 da Cgil, Cisl, Uil, Ugl e sindacati autonomi che fu poi "copiato e incollato" nel DPCM a fine 1999 introdusse il regime del TFR obbligatorio.
Quell'accordo teorizzava anche l'avvento della previdenza integrativa e dei fondi pensione che oggi minacciano molto seriamente la liquidazione di chi è in regime di TFR ma pure chi è in regime di TFS. Per gli uni e per gli altri c'è la prospettiva concreta dello scippo della liquidazione dopo che è stato scippato il diritto alla pensione. Per la difesa del diritto a una previdenza pubblica, equa e dignitosa, USB raccoglie le firme contro i fondi pensione che altri invece sponsorizzano. E entro questo contesto, invitiamo tutte le lavoratrici e i lavoratori assunti dopo il 01/01/2001 a proseguire la battaglia per estendere anche nei loro confronti il TFS e per ottenere immediatamente la sospensione e il rimborso della ritenuta del 2,5 per cento.
La sentenza della Corte Costituzionale rafforza e legittima questa richiesta, mentre i sindacati che con i loro accordi hanno reso possibile questo scempio dovrebbero almeno tacere, se avessero conservato un po' di decenza.