Il Consiglio dei Ministri ha approvato il 6 aprile il DEF 2022, il Documento di Economia e Finanza collegato alla prossima Legge di Bilancio 2023. Con questo documento il governo Draghi conferma la linea già definita con la Finanziaria dello scorso anno e con il PNRR approvato a Bruxelles a giugno 2021. Le previsioni sull’andamento dei più importanti indicatori economici sono state tutte riviste al ribasso alla luce del conflitto in Ucraina e del surriscaldamento dei prezzi delle materie prime ed anche della necessità (a causa della scelta interventista del governo) di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. Soprattutto si prevede una riduzione dell’aumento del PIL dal 4,7 al 2,9 per il 2022 e una crescita dei prezzi, che già a marzo ha fatto registrare il 6,7 % in più.
Di fronte a questo scenario in forte peggioramento e ad una situazione di persistente instabilità (la guerra sembra destinata a durare ancora mesi e comunque al di là del conflitto sembra consolidarsi una condizione di interruzione delle relazioni economiche, blocco delle importazioni energetiche e mantenimento delle sanzioni), il governo prevede una situazione assolutamente ottimistica, quando è ormai probabile che molti indicatori continueranno a peggiorare ulteriormente e che le previsioni dovranno essere riviste nuovamente al ribasso.
Ma già adesso l’intervento del governo non risponde alle difficoltà crescenti che si manifestano nel Paese. Finanche l’ANCI ha valutato come “assolutamente insufficienti” le risorse messe a disposizione dal governo per fronteggiare il rincaro delle utenze, riferendosi ai maggiori oneri che pesano sulle casse degli Enti, e che costringeranno le amministrazioni a ridurre ulteriormente gli interventi sui servizi. Vergognosa e inaccettabile è la scelta di risparmiare sulla spesa sanitaria, prevedendo una riduzione dello 0,6% annuo per il periodo 2023/2025, e sulla scuola, con un taglio che porterà la spesa per l’istruzione dal 4% al 3,5% già dal 2022 e per il prossimo triennio.
Le motivazioni di questi due tagli hanno dell’incredibile. Nella sanità mettono a repentaglio anche quei timidi propositi di territorializzazione del servizio contenuti nel PNRR. Per l’istruzione, il riferimento all’aumento dell’età media della popolazione evidenzia l’assoluta incomprensione dello stato di abbandono in cui versa il sistema scolastico.
Ad accompagnare il DEF ci sono poi tutte quelle riforme, già previste con il PNRR, e che sono destinate a colpire ulteriormente diritti e tutele. Dal DDL Concorrenza, con il suo bagaglio di privatizzazioni, alla nuova legge sugli appalti, che mette a rischio la clausola sociale, fino all’attuazione dell’autonomia differenziata, che condanna all’abbandono intere zone del Paese, a cominciare dal Mezzogiorno.
Mentre vengono confermate le scelte di rialzare le spese per la difesa e di alimentare una vera e propria economia di guerra (con tanto di costruzione di nuove basi militari e acquisto di nuovi armamenti) il governo conferma la linea di politica economica: nessuna politica industriale, sostegno alle sole grandi imprese (non a caso sono state introdotte nuove risorse a favore del settore automotive), depressione del settore pubblico, assenza di interventi a favore di redditi e pensioni.
Anche il tavolo sulla riforma delle pensioni (in vista della scomparsa di Quota 110), sbandierato da Cgil, Cisl e Uil come risultato importante dello sciopero di metà dicembre, sembra completamente dimenticato, come del resto qualsiasi serio intervento sui salari (e su una legge sul salario minimo). Anzi, all’orizzonte si approssima un nuovo accordo tra Confindustria e la triplice che subordina il rinnovo dei contratti alla decontribuzione fiscale, in modo che i minimi aumenti salariali siano a carico della collettività mentre alle imprese restano tutti i profitti (compresi gli extra).
Di fronte a queste scelte che capovolgono completamente qualsiasi velleità di ripresa dopo la crisi pandemica e che condannano l’Italia ad un futuro di depressione economica e ripresa dell’inflazione, esce ancora più rafforzata la parola d’ordine ABBASSATE LE ARMI ALZATE I SALARI.
Per cacciare il governo della guerra tutti in piazza a Roma venerdì 22 aprile.
Unione Sindacale di Base