L’ipotesi di rinnovo firmata nella notte del 22 gennaio non migliora la sostanza delle condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori, schiacciati dall’aumento dei costi energetici e alimentari.
Il rifiuto del Referendum di luglio e il conseguente sciopero di settembre avrebbe dovuto essere un segnale chiaro della volontà da parte del personale RAI della necessità di un rinnovo contrattuale congruo, in linea con il difficilissimo quadro economico che mina il nostro potere d’acquisto.
Quanto proposto dall’Azienda è invece un contratto che nella sostanza cambia poco: stesse le cifre, stesso il parametro di riferimento (terzo livello invece del quarto, come è stata prassi finora), identica durata del contratto (quattro anni invece di tre). Un aumento di 130€ lordi in prima voce, parametrati al terzo livello e divisi in due tranches non tutela lavoratrici e lavoratori che hanno subito nel triennio 2021-2023 un’inflazione del 15%.
Abbiamo chiesto un impegno concreto per garantire una maggiore conciliazione vita-lavoro, e quello che troviamo è il passaggio a tempo indeterminato dello smart working (manovra ben lontana dall’essere conciliativa, è risaputo che lo smart working è uno strumento prezioso che permette alle aziende di sfruttare l’ibridazione tra tempo lavorativo e tempo libero, spesso a spese delle lavoratrici e dei lavoratori che devono dividersi tra lavoro salariato e lavoro di cura, e che comunque si era resa imprescindibile a seguito della chiusura degli stabili di viale Mazzini dopo il guasto all’impianto idrico e la profilazione del rischio amianto).
Il “gruzzolo” di 120 ore annue da spendere in testa o in coda al turno, previa approvazione del responsabile, ci sembra un ben misero contentino rispetto alla richiesta di riduzione della settimana lavorativa, troppo poco per essere accolto positivamente, ma segnale importante di come la lotta paghi. Non c’era traccia di questo nel precedente contratto, adesso vediamo quantomeno una timida apertura al tema.
Ancora una volta siamo chiamati a un atto di coraggio. Per tutte e tutti noi rinunciare all’esca dell’una tantum più alta di quella proposta a luglio (ma comunque inferiore al recupero della vacanza contrattuale) è un costo non indifferente, ma se spostiamo lo sguardo oltre i confini della RAI ci accorgiamo che i risultati veri si ottengono con la lotta alla quale noi aderiamo: i recenti scioperi della Sanità e delle Funzioni Centrali del Pubblico Impiego devono essere un promemoria importante per noi e per l’Azienda: vogliamo salari più alti, vogliamo tutele.
Per questo motivo invitiamo tutte le colleghe e tutti i colleghi a votare NO al referendum, dimostrando come abbiamo fatto a luglio che il tempo della concertazione tra sindacati e Azienda è giunto al termine.
Il rinnovo del CCL deve tornare ad essere il momento in cui lavoratrici e lavoratori hanno diritto a esigere l’adeguamento dello stipendio all’inflazione e il miglioramento delle condizioni di lavoro, non una prassi ricattatoria senza la quale le sigle che non firmano il contratto sono tagliate fuori dalle successive discussioni del rinnovo.
USB Rai