PENSIONI
C’è un fronte trasversale formato da larghissimi settori del governo, da Confindustria e da una buona parte dell’opposizione (basta leggere l’intervento di Enrico Letta del PD su “Il Sole 24 Ore” di oggi o quello di Morando, leader dell’area liberal del PD, pubblicato sullo stesso quotidiano alcuni giorni fa), che spinge per cancellare le pensioni di anzianità e portare l’età pensionabile a 70 anni. Invece di colpire l’evasione contributiva e fiscale, con la quale si coprirebbe l’intera manovra economica pluriennale deliberata dal governo, ci si accanisce sui lavoratori dipendenti attaccando ancora una volta un diritto fondamentale com’è quello della pensione, e di una pensione dignitosa aggiungiamo noi. Un’altra proposta che aleggia in queste giornate è l’allargamento del sistema contributivo di calcolo della pensione anche a quei lavoratori che hanno mantenuto il retributivo, perché avevano più di diciotto anni di contributi a dicembre del 1995, secondo la riforma pensionistica Dini.
Il decreto votato dal Consiglio dei Ministri e in corso di conversione prevede di anticipare il percorso di avvicinamento ai 65 anni di età per la pensione di vecchiaia delle donne del privato, facendolo partire dal 2016 invece che dal 2020, mentre per quelle del pubblico impiego il requisito è già richiesto dal 2012. Non bisogna dimenticare che la manovra di luglio era già intervenuta sul diritto alla pensione, tagliando la rivalutazione delle pensioni superiori a 2380 euro e anticipando al 2013 l’aggancio dell’età pensionabile all’aspettativa di vita il cui avvio era inizialmente previsto dal 2015, con un aumento di 3 mesi dell’età pensionabile.
Contro ulteriori interventi in campo pensionistico si è formata un’alleanza che va dalla Lega di Bossi, al leader della CISL Bonanni, fino al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Non stiamo certo parlando di amici dei lavoratori, piuttosto quello che li accomuna è il timore di tirare troppo la corda fino a scatenare la rabbia popolare di quei larghi settori del mondo del lavoro che finora sono riusciti a governare e ad ammansire in nome “dell’interesse nazionale” gli uni e di “un federalismo minchione” gli altri. Il sistema pensionistico tiene. Lo sanno bene loro e lo sa bene il presidente dell’INPS, Antonio Mastrapasqua, che sconsiglia altre avventure sulle pensioni. Quello che si doveva fare è stato fatto. Il diritto ad una giusta pensione in Italia è già stato drammaticamente compromesso.
A nostro parere si dovrebbe ripartire da qui per dimostrare che una seria lotta all’evasione contributiva e fiscale potrebbe assicurare risorse per un rilancio delle pensioni pubbliche, garantendo alle future generazioni trattamenti dignitosi senza dover rinunciare al proprio TFR per affidarlo ai fondi pensione privati. Questo vorremmo sentire dire dal presidente dell’INPS, il più grande Istituto previdenziale europeo.
FESTIVITA’ CIVILI
La manovra economica prevede che ogni anno si emani un decreto per la collocazione delle festività laiche riguardanti il 25 aprile (Liberazione), il 1° maggio (Lavoratori), il 2 giugno (Repubblica), al venerdì o al lunedì o alla domenica in prossimità della festa, per evitare ponti e assenze dal lavoro. In questo modo il governo afferma di assicurare produttività alle imprese.
Ma si sono fatti i conti senza l’oste e l’albergatore, e più in generale senza le imprese turistiche, che uscirebbero penalizzate da una simile scelta, per non parlare dell’effetto simbolico che perderebbero tali ricorrenze se spostate annualmente secondo una discutibile ed opinabile convenienza.
Questo pomeriggio USB si riunirà con le altre organizzazioni sindacali conflittuali che hanno risposto all’appello dei giorni scorsi per preparare una grande mobilitazione contro la manovra economica e la politica sul lavoro del governo.