Prima di parlare dell’adesione allo sciopero generale registrata all’INPS, molto alta stando ai primi dati comunicati dall’amministrazione centrale, vogliamo provare a descrivere l’atmosfera avvertita in piazza Abd Elsalam a Roma (piazza San Giovanni), il 22 ottobre, poco prima della partenza dell’imponente corteo del NO sociale alla Riforma Costituzionale di Renzi-Boschi-Verdini che ha attraversato le vie del centro per finire in piazza Campo de’ Fiori, dopo quasi tre ore di slogan, cori e sudore, in uno splendido pomeriggio di ottobre.
L’emozione provata nel vedere la vedova di Abd Elsalam, l’operaio della GLS di Piacenza ucciso durante un picchetto sindacale, posizionarsi all’interno del corteo, insieme ai figli e ai compagni di lavoro del delegato egiziano della USB. La determinazione e la rabbia presenti durante tutta la manifestazione.
I contenuti della protesta invece possono essere riassunti in questo semplice ragionamento: non si può tenere scollegata la riforma costituzionale sulla quale saremo chiamati a pronunciarci il prossimo 4 dicembre dalle altre riforme che hanno caratterizzato fin qui l’attività del governo Renzi, come il Jobs Act, la Buona Scuola, la Riforma Madia della pubblica amministrazione. Fa tutto parte di un unico disegno che mira a ridurre gli spazi di democrazia, le garanzie e i diritti dei lavoratori, il sistema di protezione sociale. Per questo l’obiettivo dello sciopero generale del 21 ottobre, della manifestazione nazionale del NO sociale del 22 ottobre e del referendum del 4 dicembre non può che essere la cacciata del governo Renzi, il rifiuto delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea e il sostegno ad una piattaforma di rilancio dei servizi pubblici e di riconquista di diritti per i lavoratori.
L’importanza di questi due giorni di protesta deve essere stata ben compresa dalle lavoratrici e dai lavoratori dell’INPS. In 5.381 hanno scioperato il 21 ottobre, circa il 21,5% del personale, a cui vanno aggiunti i 3.141 assenti ad altro titolo. In totale, il 30,2% dei lavoratori il 21 ottobre non era in servizio. Non c’è nessun’altra organizzazione sindacale all’INPS in grado di mobilitare così tanti lavoratori.
L’adesione a queste due giornate di mobilitazione è il segnale di una disponibilità concreta a sostenere la Piattaforma USB su Lavoro e Stato Sociale e ad impegnarsi per la vittoria del NO al Referendum del 4 dicembre.
Noi lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego nello sciopero generale del 21 ottobre abbiamo portato anche le ragioni della protesta contro i sette anni di blocco dei contratti e contro le ridicole risorse stanziate dal governo nella legge di bilancio del 2017. A fronte dei 20/30 euro mensili lordi stanziati dal governo per il rinnovo dei contratti, peraltro neanche tutti destinati all’incremento dello stipendio tabellare, dovremmo accettare che gli accordi recepiscano il peggio della Riforma Brunetta e una Riforma Madia che si muove nel solco del pensiero del suo predecessore.
Nella pubblica amministrazione manca un piano complessivo di assunzioni che realizzi un rapido ricambio generazionale, per assicurare continuità ai servizi e puntare ad un rilancio delle tutele sociali pubbliche. Manca, inoltre, una proposta concreta di soluzione della piaga del mansionismo in sede di rinnovo contrattuale. Governo e sindacati complici sembrano voler continuare a disinteressarsi del problema, mentre USB dal 2013 ha consegnato all’ARAN la propria piattaforma contrattuale di pubblico impiego nella quale torna a proporre la collocazione di tutti i lavoratori in un’unica area professionale corrispondente all’attuale Area C.
Gli effetti delle giornate del 21 e 22 ottobre si vedono già oggi nei sondaggi in cui il NO torna a mantenere un vantaggio consistente rispetto al SI’ al referendum di dicembre. Dobbiamo impegnarci tutti nelle prossime settimane per impedire che passi la Riforma Costituzionale, per cacciare il governo Renzi e per riconquistare un vero spazio di contrattazione che ci permetta di avere rinnovi contrattuali che tengano conto di quanto si è perso negli anni passati. Ce la possiamo fare. La rassegnazione non aiuta a cambiare le cose e noi, invece, vogliamo cambiare in meglio il Paese.