Quando un decennio fa l’olandese Klynveld, l’inglese Peat, l’americano Marwick ed il tedesco Goerdeler decisero di uscire allo scoperto e dare vita al network KPMG dovevano certo avere le idee chiare.
La priorità era (ed è rimasta) quella di ricostruire per quanto possibile la fiducia nel sistema finanziario internazionale per consentire agli investitori di “credere” nei mercati dei capitali.
Oggi, l’impero KPMG è rappresentato da molteplici entità che svolgono in tutto il mondo attività di revisione ed organizzazione contabile, iniziative di business, assistenza fiscale internazionale e una vasta gamma di servizi multidisciplinari. Nel 2009, i ricavi aggregati delle società aderenti al network hanno superato i 20 miliardi di dollari, mentre in Italia la KPMG opera attualmente con 3.000 funzionari presenti in 28 sedi disseminate sull’intero territorio nazionale: una megarealtà da mille sfaccettature, che viene definita in “costante presa diretta” sia con il mercato globale che con le dinamiche a livello locale.
Appare perciò quanto mai opportuno andare a verificarne i valori e le finalità, in una parola il cosiddetto KPMG way, espressione della cultura organizzativa di questo network. Possiamo così scoprire degli assunti decisamente interessanti:
“Noi siamo di esempio” - “Noi lavoriamo sempre” - “Noi siamo orgogliosi (di essere KPMG)” - “Noi favoriamo la cultura della meritocrazia”, accanto ad altri quali: “Noi comprendiamo” - “Noi rispettiamo” - “Noi comunichiamo” ed infine “Noi cerchiamo sempre la collaborazione” (fin quando è possibile, ovviamente). Con questa visione, la KPMG ha trascinato anche nel settore pubblico quelli che sono i fattori chiave di competitività aziendale: crescita, governo, performance. Utilizzando come grimaldello il DPR 27 febbraio 2003 n. 97 (il regolamento che concerne l’amministrazione e la contabilità degli Enti Pubblici di cui alla Legge 70/1975), la KPMG ha recentemente ottenuto, dai vertici dell’amministrazione, l’incarico di supportare il nostro Istituto nella definizione di un nuovo modello organizzativo di contabilità e gestione del personale, quintuplicando nel primo semestre dell’anno il suo fatturato con l’INPS.
Questo processo di innovazione che sta interessando (e sconvolgendo) a tappe forzate la totalità dell’Istituto è stato naturalmente avviato con il ridisegnare il sistema informativo delle comunicazioni, in particolare per quel che concerne la nuova realtà gestionale degli Enti Pubblici non Economici.
Successivamente, il programma di implementazione ha riguardato le principali aree applicative (contabile, personale e logistica) integrate su piattaforma ERP. Sarà utile a questo punto rammentare che l’INPS è il più grande Ente Pubblico europeo, come testimoniano i 600 miliardi di euro stimati fra entrate/uscite e, dunque, rappresenta per il network una torta particolarmente appetibile.
Tuttavia, l’ambizioso progetto che oggi palesemente mira a trasformare l’INPS in una grande centrale di acquisto (una sorta di megacentro commerciale utile alla bisogna) non tiene più o meno volutamente conto di fattori imprescindibili, il cui valore non è mercificabile, quali i servizi all’utenza e il personale.
Al momento, si sta procedendo a ritmi serrati alla progressiva centralizzazione delle attività di approvvigionamento e delle funzioni di governo dell’Istituto.
Nella sola ottica presa in considerazione, quella di lavorare meglio/di più, resta comunque in alto mare il necessario coinvolgimento del personale.
Anche perché le retribuzioni dei dipendenti pubblici sono sempre notevolmente più basse rispetto a quelle del settore privato e tra le ultime in Europa.
La sporadica offerta di orari di lavoro flessibili, attivata nel tentativo di attirare risorse umane e recentemente abbozzata nella pubblica amministrazione, al di là delle evidenti contraddizioni con le continue proposte per uniformare l’orario di lavoro, appare nel contesto attuale decisamente modesta e improduttiva.
Altro fattore da non sottovalutare (e da noi sollevato nelle sedi opportune nello scorso ottobre) è la palese frammistione tra consulenza esterna/organizzazione interna, affidate ad una stessa azienda privata senza alcun tipo di controllo, né trasparenza. Il tutto ovviamente a danno della collettività.
Fin qui il discorso logicamente interessato e vetusto, ammantato di modernità, della KPMG. Ma cosa ha reso possibile tutto ciò? O meglio, chi lo ha consentito?
Azzerati i quadri dirigenziali esattamente due anni fa ed esautorato il Consiglio di Amministrazione, il Commissario factotum dai 35 incarichi si avvale oggi di una cabina di regia composta da funzionari senza idee che in realtà nulla sanno di servizi ed assume decisioni palesemente illegittime. Ciò senza minimamente preoccuparsi del fatto che, in carenza di potere, si producono soltanto atti nulli. L’affidamento di consulenze esterne prosegue senza conoscere soste: dopo lo smantellamento del sistema informatico, è stata la volta del sanitario e della avvocatura, passando per l’economato fino al ramo ispettivo. Uno scempio.
Facendole sempre apparire come “strategiche” le varie modifiche organizzative in realtà si stanno rivelando oggi potenzialmente poco utili, se non addirittura dannose. La qual cosa è valida per tutta la pubblica amministrazione in genere. In questo senso si è anche recentemente espressa la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale di Trento, evidenziando nel dispositivo che “la revisione prevista in un’ottica esclusivamente aziendale mal si attaglia all’organizzazione pubblica in quanto, diversamente da un’azienda privata, l’azienda pubblica è comunque tenuta al rispetto di norme di organizzazione interna e procedure che vengono fissate direttamente dalla legge e in funzione di interessi collettivi inderogabili”. La determinazione commissariale n. 140 del 29.12.08 e le successive circolari applicative n. 37 del 04.03.09 e n. 102 del 12.08.09 (emanate unilateralmente e dunque ancora illegittime) hanno definitivamente spinto l’Istituto nel baratro. Ipotizzando una riorganizzazione basata esclusivamente sulla riduzione di costi e sul recupero dell’efficienza non si va da nessuna parte. Ma si fanno interessi. E si procede per tentativi. Un esperimento prova innanzi tutto sé stesso, prova cioè che può essere fatto, il che non sempre è una cosa scontata.
E l’assuefazione va avanti per gradi. Se nelle 20 sedi pilota non verranno poste domande e nessuno alzerà la testa, la sperimentazione potrà essere estesa.
Illuminante, in proposito, la dichiarazione fornita dal direttore di Frosinone nel corso dell’Osservatorio il 24 giugno: “Non c’è stata nessuna grossa resistenza”. La finalità ultima è quella di stabilire un controllo. Dopo di che qualunque balla potrà essere raccontata sulla riorganizzazione e la maggior parte dei colleghi ci crederà (o farà finta di crederci). Anche perché è sicuramente più semplice e molto rassicurante. Piuttosto che chiedersi cosa stia succedendo davvero.
Al punto in cui siamo operare, nel senso più stretto del termine, con decisione ed urgenza, prima che questo ennesimo esperimento produca altri danni, altre vittime, altre cause di servizio o per mobbing, sarà la nostra priorità assoluta. Prendiamone tutti coscienza per evitare il diffondersi di queste cellule tumorali.
Coordinamento regionale RdB-USB INPS Lazio