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LE RISPOSTE SONO TUTTE NEL PIANO DEI FABBISOGNI

Nazionale,

Comunicato n. 09/19

Basterebbe leggere con un po’ di attenzione la Determinazione presidenziale N. 153 del 30 novembre 2018, contenente il Piano dei fabbisogni di personale INPS per il triennio 2018-2020, per avere le risposte a molti dei quesiti rimasti appesi e per acquisire maggiore consapevolezza su dove stia andando l’Istituto.

Cominciamo dai dati complessivi. Per calcolare il fabbisogno di personale delle Aree A-B-C l’amministrazione è partita dall’obiettivo degli indici di giacenza indicati nel Piano della performance 2017-2019 e lo ha messo in relazione con una teorica presenza media di ciascun lavoratore pari all’81% dell’orario effettivo, corrispondente a 124 ore di lavoro mensili. Il risultato è un fabbisogno ideale (è scritto proprio così) di lavoratori delle aree professionali pari a 29.020 unità, mentre il fabbisogno ideale complessivo di personale è stimato in 31.155. E’ incrementato il profilo informatico di 250 unità, per cercare di riacquisire un minimo di controllo sull’informatica, mentre diminuiscono di 8 posizioni le funzioni di dirigente generale e di 24 quelle di dirigente di seconda fascia, a beneficio dei posti di Area C. Dovremmo gioire di questa scelta ma non è così, innanzitutto perché non è che i dirigenti in organico siano troppi, è che sono distribuiti male. Si aboliscano le direzioni di coordinamento metropolitano e si ripristinino le sedi sub provinciali governate da un dirigente al posto delle attuali Agenzie. Inoltre, non ci sembra lungimirante aver ingabbiato le posizioni dirigenziali di prima fascia, considerata l’età media degli attuali dirigenti generali.

Ma se qualche dubbio il fabbisogno ideale già lo pone, scorrendo il documento si scopre che in base all’art. 6, comma 3, del Decreto Legislativo 165/2001, come riformulato a seguito della Riforma Madia, il costo del fabbisogno deve risultare invariato. Quindi, dopo aver indicato un fabbisogno ideale, nelle pagine seguenti del documento l’amministrazione passa ad un fabbisogno sostenibile (è scritto proprio così) di 28.788 unità, esattamente 2.367 dipendenti in meno di quanti si è stimato che servirebbero. Non è anche questa una specie di spending review camuffata? Ministro Bongiorno se ci sei batti un colpo e cambia immediatamente la norma Madia. Chi ci rimette di più in questa partita sono i medici di I livello, che passano dai 1.102 del fabbisogno ideale ai 394 di quello sostenibile, anche se l’amministrazione chiede in questo caso di poter derogare alle limitazioni per far fronte alle competenze in materia d’invalidità civile e agli altri compiti assegnati all’Istituto. Siamo d’accordo, ma perché chiedere una deroga limitata ai medici?

Tuttavia il dato che fa capire meglio dove andrà l’INPS è quello relativo alla forza effettiva. A fronte di 4.006 nuove assunzioni previste nel triennio 2018-2020, a fine periodo l’amministrazione calcola che avrà una carenza di personale rispetto al fabbisogno sostenibile di 848 unità, senza calcolare i possibili effetti di quota 100. Ricapitolando: non solo il fabbisogno è inferiore alle necessità produttive, ma l’INPS continuerà ad essere carente di personale anche nei prossimi anni, nonostante l’aumento di competenze e, quindi, l’inevitabile continuo aumento dei carichi di lavoro. Già oggi le sedi non ce la fanno più, come si pensa di poter continuare a chiedere succo ad un limone ormai abbondantemente spremuto?

Veniamo ora ai passaggi verticali di area. Anche su questo tema il Piano dei fabbisogni è chiaro e non lascia dubbi. Per il 2019 (e non prima) indica 300 possibili passaggi a C1, finanziati per 41 unità dal budget assunzionale 2018 e per 259 unità da quello 2019. Secondo il documento, quindi, non erano previsti passaggi verticali da effettuarsi nel 2018, per questo le organizzazioni sindacali che partecipano alle trattative non hanno mosso un dito per ottenere l’avvio dei bandi nello scorso anno, evidentemente erano a conoscenza che la Determinazione di Boeri rinviava al 2019 la riapertura delle selezioni per i passaggi di area. Nessuna risposta, invece, è prevista per il personale dell’Area A, non essendo programmati passaggi in Area B. Per il 2020 sono previsti ulteriori 199 passaggi a C1 e nessun passaggio in Area B. Nel triennio 2018-2020 l’INPS calcola che potranno essere ricollocati in Area C complessivamente 499 dipendenti in possesso almeno di laurea triennale. All’incirca un terzo dei lavoratori di Area B laureati. E’ chiaro a tutti che, di questo passo, ci vorranno almeno dieci anni per dare la possibilità a tutti i laureati di Area B di transitare all’area superiore, mentre i diplomati di Area B sono condannati a restare fermi al palo senza alcuna prospettiva. Non parliamo, poi, dell’Area A che viene completamente ignorata.

Di fronte a questa prospettiva, a che serve organizzare proteste nei confronti di un vertice in scadenza nei prossimi giorni? La protesta va indirizzata nei confronti dell’Aran, che continua a non convocare la Commissione paritetica per la revisione dell’ordinamento professionale, l’unico strumento che abbiamo oggi per costringere la controparte a trovare una soluzione al mansionismo che riguardi tutti, non solo i laureati. Chi ha firmato il contratto, compresa la FLP, o non fa iniziative o se le fa sbaglia il bersaglio. Finora solo noi, che tra l’altro non abbiamo firmato il contratto, abbiamo organizzato proteste all’Aran ottenendo che la Commissione fosse convocata almeno una volta. Torneremo a protestare in quella sede perché riteniamo che la soluzione al mansionismo passi necessariamente per la revisione del sistema di classificazione, a nostro parere con l’area unica amministrativa, ma siamo pronti a confrontarci con altre proposte.

L’ultimo punto che vorremmo mettere in evidenza del Piano triennale dei fabbisogni è quello relativo ai profili professionali ed alle competenze. Qui siamo alla supercazzola, con la quale si cerca di giustificare l’istituzione dei profili di “analista di processo-consulente professionale” e “consulente della protezione sociale”. L’amministrazione s’impegna a completare entro il 2019 “il disegno complessivo del modello professionale in Istituto e della conseguente mappatura delle competenze da articolare in conoscenze, capacità e attitudini”. “Me cojoni” - direbbe Rocco Schiavone tirando fuori dal cassetto una speciale sigarettina per liberare la mente da questi concetti troppo articolati per noi persone semplici. A noi interessa che le prestazioni (pensioni, naspi, invalidità civile ecc.) siano erogate correttamente e in tempi brevi. Per fare questo c’è bisogno di personale e formazione, il resto sono chiacchiere per giustificare ruolo e stipendio di qualche dirigente o manager in cerca di gloria o per finanziare società di consulenza pronte a rifilare patacche a destra e a manca.

In conclusione, l’amministrazione ha licenziato un Piano dei fabbisogni che non soddisfa e che appare lontano dalle reali necessità che occorrerebbero per assicurare una puntuale erogazione dei servizi e un rilancio del ruolo dell’Istituto, ma è anche un documento dal quale si comprendono molto bene le contraddizioni in cui si muove attualmente chi governa l’ente. Se un altro mondo è possibile ma ben difficile da costruire, un altro INPS è necessario. Costruiamolo insieme.